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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2013 alle ore 08:28.

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Bisogna parlare di più ai giovani, bisogna riavvicinare i giovani alla politica, bisogna farlo per i giovani, bisogna ascoltare i giovani, anzi, bisogna ascoltare «i-nostri-giovani».

Come se non circolasse già abbastanza sciatteria retorica, i risultati delle elezioni di febbraio e l'ascesa del MoVimento 5 Stelle hanno amplificato nei partiti italiani le discussioni e i commenti sul ruolo dei giovani, sull'importanza dei giovani, sull'attenzione per i giovani: una tiritera inconcludente che negli anni non ha concorso a produrre nulla se non, appunto, l'allontanamento di cui sopra dei giovani dalla politica. Siccome però la questione giovanile esiste, e un partito moderno che voglia recuperare terreno dovrebbe porsela seriamente, c'è una cosa piccola e concreta da cui si potrebbe cominciare: cambiare radicalmente, se non addirittura eliminare, le organizzazioni giovanili di partito.
Il Pdl ha un'organizzazione giovanile, si chiama Giovane Italia, è aperta a chi ha fino a 35 anni: è il posto in cui i "giovani" che vogliono fare politica nel partito sono invitati a iscriversi e militare, prima di passare nel partito dei "grandi". Lo stesso vale per l'organizzazione della Lega, i Giovani Padani, il cui leader oggi ha 33 anni. L'organizzazione giovanile del Pd si chiama Giovani Democratici, è erede a suo modo di quelle della Margherita e dei Ds e quindi naturalmente anche di quella comunista, la celebre Fgci: è aperta a chiunque abbia fino a 29 anni, anche se spesso si resta oltre quella soglia. Esistono realtà omologhe in Europa: ai giovani socialisti tedeschi ci si può iscrivere fino a 35 anni, a quelli spagnoli fino a 30, a quelli britannici fino a 27.

Si può discutere della definizione di "giovane", e anche della scelta di mescolare gli studenti liceali con i trentenni: forse però, in Italia, nel Paese con la disaffezione politica giovanile di cui sopra, serve fare qualcosa in più e cambiare un sistema che non funziona.
La chiusura dei giovani che fanno politica in un compartimento stagno annulla il loro contributo al rinnovamento del partito: delle sue persone e delle sue idee. Invece che a fare politica in campo aperto, misurandosi con contesti impegnativi, incidendo sugli equilibri esistenti e mettendoli in discussione, i giovani sono invitati a fare "le riunioni dei giovani" e "le iniziative dei giovani", a non disturbare il manovratore e costruirsi il loro personale ceto politico, la loro piramide di incarichi inutili e organismi pletorici. Le organizzazioni giovanili di partito non sono un male di per sé, naturalmente: spesso sono anzi posti dove è possibile costruire esperienze, competenze, comunità, relazioni, dove trovare libertà politiche e percorrere strade che non sarebbe possibile ottenere nei partiti veri. Quelle libertà politiche, però, sono concesse dai vecchi ai giovani perché le loro conseguenze sono innocue.

A fronte di questa frequente inconsistenza politica, le attività preferite dalle organizzazioni giovanili di partito finiscono per essere spesso delle estenuanti battaglie personali e congressuali, anche in assenza di grandi differenze politiche. Lotte di potere senza il potere, che trovano giustificazione nella natura corporativa dell'organizzazione: così da una parte i giovani imparano a rispettare la fila, concetto che tornerà loro utile anche quando passeranno tra i grandi, dall'altra passano il tempo a lottare per diventare dirigenti delle organizzazioni giovanili, e in quanto tali destinatari degli spazi riservati pigramente dal partito ai giovani-in-quanto-giovani. Insomma, quello che dovrebbe essere utilizzato per garantire ai partiti delle inevitabili e fisiologiche ondate di rinnovamento è diventato un meccanismo del sistema che perpetua lo status quo.
È quantomeno discutibile che un partito politico inviti i suoi aderenti che hanno 29, 33 o 35 anni a iscriversi al gruppo dei piccoli, a far parte di una specie di recinto dove stare con i coetanei senza rompere le scatole ai grandi.

Ed è un fatto che il partito con la più alta percentuale di elettori giovani, il MoVimento 5 Stelle, non abbia un'organizzazione giovanile. Bisognerebbe trarne seriamente delle conclusioni. Si tengano in piedi le associazioni studentesche e universitarie, che hanno un senso, e per il resto si stabilisca che un cittadino italiano che ha l'età per fare il deputato della Repubblica, il sindaco, il candidato premier, il genitore, l'insegnante o l'imprenditore, non possa che iscriversi al partito vero e fare politica nel partito vero. Per il bene del partito vero, oltre che per il suo.

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