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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2013 alle ore 08:29.

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La prima fotografia (scelta per lacopertinadell'originale americano)risaleall'aprile del 1944. È un ritratto di gruppo. Mostra una dozzina di persone – uomini, donne, bambini – su uno sfondo di aride colline che potrebbero ben essere di Palestina, mentre sono del Gargano. I maschi portano in testa chi un basco, chi una coppola, chi un cappello di feltro a bombetta, chi un cappello militare a visiera. Le femmine hanno il capo scoperto, come pure è scoperta la testa dell'unico uomo in giacca e cravatta, un piccoletto con occhialini da intellettuale. Ma non è intorno a occhiali, teste o cappelli che ruota l'intera fotografia. Ruota intorno al vessillo con la Stella di Davide – il simbolo del movimento sionista, e la futura bandiera di Israele – orgogliosamente impugnato dal bambino al centro del gruppo.
La seconda fotografia (scelta per la copertina della traduzione italiana) risale all'inizio degli anni Cinquanta. Mostra due ragazzini seduti su un muro di pietra, e ancora con il capo coperto, per proteggersi da un sole che si intuisce cocente. Sullo sfondo è un paesaggio brullo, quasi desertico, appena interrotto da un'oasi di vegetazione e da una manciata di edifici lunghi e bassi, visibilmente costruiti di recente: le case di un kibbutz. In secondo piano, due operai lavorano alle fondamenta in legno di un edificio minuscolo, mentre lungo la strada sterrata una contadina conduce un asino al passo. I due ragazzini ritratti in primo piano stanno leggendo, assorti, ciascuno il suo libro. È il Libro, la Bibbia.
Queste due fotografie contengono l'alfa e l'omega di una vicenda curiosa quanto appassionante: la vicenda de Gli ebrei di San Nicandro, come recita il titolo di un volume scritto dallo storico britannico John A. Davis, uscito da Yale nel 2010 e finalmente disponibile in italiano per i tipi di Giuntina. Piccola vicenda, si dirà. La conversione collettiva alla religione mosaica, fra anni Venti e anni Trenta, di qualche decina di contadini e artigiani originari del paesone garganico di San Nicandro, in provincia di Foggia, e poi l'emigrazione di quasi tutti loro, dopo il 1948, nel neonato Stato di Israele. Eppure, si tratta di una vicenda che Davis dimostra carica di implicazioni non soltanto religiose, ma anche culturali, politiche, e perfino militari.
La microcomunità ebraica di San Nicandro si era formata intorno alla direzione spirituale della più improbabile fra le autorità pseudo-rabbiniche. Invalido di guerra, Donato Manduzio era un quarantenne semianalfabeta e disoccupato durante la seconda metà degli anni Venti, quando un conoscente di fede pentecostale gli aveva regalato una copia della Bibbia, cambiandogli la vita. A forza di compitare sul Pentateuco, Manduzio si era convinto della scarsa verosimiglianza del racconto evangelico sopra l'avvento del Messia, e aveva finito per riconoscersi nell'interpretazione ebraica dell'Antico Testamento. Ma Manduzio aveva fatto di più. Approfittando della sua propria fama, diffusa a San Nicandro, di guaritore miracoloso e di profeta visionario, aveva sospinto dapprima la moglie, Emanuela Vocino, poi una serie di amici e di amiche, verso la conversione all'ebraismo.
Per un tempo lungo, quasi interminabile nel vissuto dei neofiti, tale conversione era rimasta puramente teorica. A San Nicandro, nel Gargano, nell'intera Puglia, mancava qualunque opportunità liturgica per gli uomini di essere circoncisi, per le donne di compiere il bagno di purificazione (del resto, Manduzio era inizialmente convinto che tutti gli ebrei fossero morti al tempo del Diluvio universale...). Ma la storia degli israeliti di San Nicandro è quella di un investimento pertinace, tetragono, sulla suprema verità della religione di Mosé. Corrisponde a un'eccezionale scommessa di fede e di cultura. Senza rabbini, senza libri, senza kippah, senza candelabri, senza filatteri, senza tallèt, Manduzio e i suoi seguaci si sforzano – nell'indifferenza più che nella diffidenza dell'ambiente circostante – di onorare il riposo del sabato e di seguire il calendario ebraico, se non proprio di rispettare le prescrizioni alimentari e di corrispondere agli altri obblighi rituali. Fino a quando, tra 1931 e '32, riescono a stabilire un contatto con il rabbino capo di Roma, Angelo Sacerdoti.
Da quel momento in poi, la loro avventura spirituale e materiale entra a far parte di storie ben più larghe: la storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, la storia degli ebrei italiani emigrati in Israele dopo la nascita di uno Stato indipendente. Quantunque, in una lettera indirizzata a Roma, Manduzio rendesse omaggio al Duce (l'«Eccellentissimo Signor Governatore nostro Condottiero Mussechini»), nulla vi era di filofascista nel movimento degli ebrei di San Nicandro. Al contrario, questi trovano il loro principale sostegno nella figura di Raffaele Cantoni: il contabile veneziano d'origine, fiorentino d'adozione, che rappresentava un po' l'anima dell'ebraismo italiano civilmente più impegnato, e le cui idee antifasciste risultavano fin troppo note alla polizia di regime.
Una prima svolta interviene dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, in quel Regno del Sud che gli Alleati vanno liberando dall'occupazione tedesca. Al seguito dell'VIII Armata, giungono infatti a San Nicandro alcuni ufficiali e soldati ebrei provenienti dalla Palestina del mandato britannico. Fra questi è Enzo Sereni, sionista italiano della prima ora, stretto collaboratore di David Ben Gurion, futuro martire della Resistenza ebraica fra Italia e Germania: è lui il piccoletto con gli occhialini da intellettuale fotografato, nell'aprile '44, fra i paesani "ebrei" di San Nicandro.

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