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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2013 alle ore 10:35.

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La storia con cui si apre Big Data è quella del servizio di Google per studiare l'emergere delle epidemie stagionali di influenza a partire dalle ricerche compiute su internet dagli utenti del suo motore: Google Flu Trends (si chiama Trend influenzali, nella versione italiana). Se ne parlò in tutto il mondo, allora, anche semplificandolo un poco: non si tratta solo di un sistema per capire immediatamente quando le persone cercano termini relativi all'influenza, ma anche di associare ai periodi in cui i sistemi tradizionali avevano dimostrato l'emergere di stagioni influenzali le ricerche fatte dagli utenti in quei periodi. E capire quali tendenze ripetute potessero diventare un indicatore per capire in tempi rapidissimi – il giorno stesso, invece delle settimane necessarie tradizionalmente – l'arrivo delle influenze.

Quello studio, descritto nel 2009 in un articolo sulla rivista Nature, è diventato il modello più illuminante di un uso rivoluzionario della enorme quantità di dati prodotti e resi accessibili dalle innovazioni digitali di questi decenni. Big Data è un libro appena uscito negli Stati Uniti, scritto da uno studioso austriaco di internet, imprenditore digitale e professore a Oxford e Harvard, Viktor Mayer-Schönberger, e dal giornalista Kenneth Neil Cukier, il responsabile dell'informazione basata sull'uso di dati al settimanale inglese Economist. La loro definizione dell'uso dei Big Data è: «Cose che si possono fare su una grande scala e che non potrebbero farsi in piccola, per estrarre nuove informazioni o creare nuove forme di valore, in modi che cambiano i mercati, le organizzazioni, le relazioni tra cittadini e Governi, e ancora di più».

La prima parte della definizione è chiara, con l'esempio di Google Flu Trends: è solo la straordinaria quantità di dati che è possibile elaborare – impensabile ai metodi tradizionali – a rendere scientificamente rilevanti le conclusioni delle loro indagini. Un altro degli esempi affascinanti che il libro fa è quello di uno scienziato informatico americano, Oren Etzioni, rimasto colpito dalle impreviste oscillazioni di prezzo dei biglietti aerei nei giorni, settimane e mesi precedenti il volo, che aumentavano o diminuivano senza criteri apparenti. Etzioni fece delle ricerche e riflessioni sulle ragioni di queste oscillazioni e alla fine concluse che queste ragioni non erano importanti: quel che gli interessava era trovare il modo di sapere in quale momento un biglietto sarebbe stato in vendita al prezzo più conveniente. Cominciò così a lavorare a un software che potesse digerire ed elaborare in tempo reale le offerte online delle compagnie aeree e dei siti di viaggi, che diventò Farecast, un sistema che permette di capire il momento dell'acquisto più economico per il biglietto di un volo negli Stati Uniti, con il 75 per cento dei risultati esatti. E che è stato integrato dal motore di ricerca Bing dopo che Microsoft lo ha acquistato per 110 milioni di dollari.

Tra i molti tratti interessanti di questo nuovo sistema di utilizzo di una mole di dati digitali che non è mai stata disponibile in queste dimensioni (e che cresce con accelerazioni crescenti eccezionali: per dirne una, gli utenti di YouTube caricano un'ora di video ogni secondo) ci sono alcune implicazioni di pensiero e approccio nuove. Una è la rimozione parziale o totale dall'indagine dell'essenza specifica degli oggetti di indagine: per capirsi, la gigantesca analisi di Google, di portentosa e accurata elaborazione scientifica, prescinde completamente da qualunque competenza medica o studio di sintomi e percorsi dei virus. Non è importante. E allo stesso modo al creatore di Farecast non interessa capire chi e cosa influisce sui prezzi dei voli aerei, quali sono i costi e quale la dimensione del business. E qui interviene il secondo aspetto affascinante, strettamente collegato. Lo dicono nel loro libro Mayer-Schönberger e Kenneth Neil Cukier: «L'era dei Big Data sfida il modo in cui viviamo e interagiamo con il mondo. La cosa più impressionante è che la società dovrà accantonare alcune delle sue ossessioni per i sistemi di causa ed effetto in cambio di semplici correlazioni: interessandosi non ai perché ma solo ai cosa. Questo ribalta secoli di pratiche consolidate e mette in discussione i nostri più basilari approcci a come prendere le decisioni e comprendere la realtà».

L'accantonamento della ricerca di senso e ragioni delle cose in favore di una prevalente attenzione ai modi del loro dispiegarsi è in effetti una rivoluzione che investe molto altro del nostro modo di pensare, e non solo il tema dell'indagine sui dati. Perché è legata anche alla nuova accelerazione del cambiamento, all'evoluzione continua di fenomeni e successioni di cause ed effetti, che rendono fragile e volatile ogni costruzione generale e sintetica di fenomeni e successioni. In poche parole, nel tempo in cui organizziamo in schemi e rapporti causali universali le cose che osserviamo – ogni mese diverse dal precedente – queste sono appunto cambiate e con loro quegli schemi e rapporti. L'approccio dei Big Data ci dice di dedicarci a osservare e trarne insegnamenti e informazioni duttili, aggiornabili ogni giorno assieme allo sfruttamento di quelle informazioni. Quando nuovi fattori sconvolgono i criteri dei prezzi dei biglietti, il sistema di Farecast funziona lo stesso. Quando l'influenza verrà trasmessa da quel che mangiamo e avrà i suoi picchi in agosto, il sistema di Google Flu Trends avrà identica validità.

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