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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2013 alle ore 14:51.

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Il grande GatsbyIl grande Gatsby

Il Festival di Cannes si apre con pochi applausi: «Il grande Gatsby», primo titolo presentato sulla Croisette, non ha ripagato le (troppo alte?) aspettative della vigilia.
Diretto dall'australiano Baz Luhrmann, il film è la quarta trasposizione dell'omonimo romanzo di Francis Scott Fitgerald, datato 1925: segue quelle di Herbert Brenon del 1926, di Elliott Nugent del 1949 e, la più celebre, di Jack Clayton del 1974 con protagonisti Robert Redford e Mia Farrow.

Esattamente come nel testo di Fitzgerald, la narrazione è affidata al personaggio di Nick Carraway, un aspirante scrittore che, nella primavera del 1922, decide di lasciare il Midwest americano per trasferirsi a New York. Nella Grande Mela farà la conoscenza di Jay Gatsby, un eccentrico milionario che ha due soli interessi: organizzare lussuose feste nel suo palazzo e riconquistare Daisy, cugina di Nick e moglie di Tom Buchanan, un ricco nobile dai modi arroganti e volgari.

Il regista Baz Luhrmann, insieme al co-sceneggiatore Craig Pearce, ha rispettato la trama del romanzo aggiungendo il suo tocco colorato, barocco e ai limiti del kitsch.

Vera e propria quint'essenza dello stile postmoderno del suo autore, «Il grande Gatsby» mescola gli anni '20 con l'oggi, affidandosi alla musica hip-hop («Il jazz contemporaneo», l'ha definito lo stesso regista) e fondendo generi differenti, dal racconto di formazione al mélo fino al musical.

L'attenzione è però tutta sull'apparato formale, affascinante ma fin troppo patinato, tanto da sacrificare il necessario approfondimento psicologico sui personaggi.

Il buon equilibrio, tra soggetti classici e tecniche contemporanee, che Luhrmann aveva messo in scena in «Romeo + Giulietta» (1996) e in «Moulin Rouge» (2001), si ritrova soltanto in alcune sequenze, in particolare verso la conclusione.

L'immaginario da videoclip del regista (ben visibile nella scena della festa a casa del protagonista) trascina gli spettatori in un vortice audiovisivo in cui si fatica a trovare la giusta empatia con i personaggi conosciuti sulle pagine di Fitzgerald.

Se la versione de «Il grande Gatsby» del 1974 è stata giudicata fin troppo piatta e pedissequamente fedele al romanzo di partenza, la nuova trasposizione di Luhrmann, più coraggiosa e personale, è al contrario fin troppo eccessiva, azzardata e posticcia, soprattutto nella rappresentazione del decennio di riferimento.

Nel cast, Leonardo Di Caprio (Jay Gatsby) si dimostra efficace pur senza impegnarsi troppo, mentre Tobey Maguire (Nick Carraway) e Carey Mulligan (Daisy Buchanan) appaiono costantemente fuori parte.

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