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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2013 alle ore 17:53.

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Dura la vita del pioniere: avrai anche un certo intuito quando si tratta di capire prima degli altri in che direzione girerà il mondo e qualche volta la capacità di dettare tu le regole del gioco ma, quando il mondo ti raggiunge, hai il dovere di tentare un azzardo, indovinare una mossa a sorpresa e provare a sparigliare le carte.

Se comunque dalla tua hai un bel po' di talento, due spalle larghe così e quel pizzico di fortuna che non guasta mai, non è detto che non ti riesca. Si guardi il caso dei Daft Punk, duo electro-house francese che a partire dagli anni Novanta, grazie a dischi fondamentali come «Homework» e «Discovery», ha imposto il proprio gusto sulle scelte di qualsiasi artista che si sia avvicinato a campionamenti e altre diavolerie digitali.

La loro estetica da modernariato, i caschi tipo «Ultimatum alla Terra» e le tutine degne di «Spazio 1999» dietro le quali si nascondono, hanno rivoluzionato lo stile delle performance live di musica elettronica. Oggi trovi un po' del loro approccio in centinaia di dischi l'anno, da Madonna a Justin Bieber. Potrebbero sedersi e sventolare felici la loro patente di caposcuola e, invece, che fanno? Sciacquano i panni in analogico. Il loro ultimo album «Random Access Memories» è un lavoro di quelli che, nella disco, «si facevano una volta»: l'effettistica digitale, marchio di fabbrica di Thomas Bangalter e Guy Manuel de Homem Christo, si innesta su una robusta struttura di musica «vera», suonata da musicisti in carne e ossa. E che musicisti: dal chitarrista e producer dei mitici Chic Nile Rodgers a John Robinson, batterista di Michael Jackson ai tempi di «Off the Wall», dal leader degli Strokes Julian Casablancas al dotato vocalist Pharrell Williams, fino ad arrivare a Paul Williams, talentuoso songwriter che ha offerto materia musicale ai Carpenters e ai pupazzi dei Muppets. E ci scappa pure l'ospitata di Giorgio Moroder, king-maker della disco anni Settanta celebrato dai due musicisti parigini come una specie di stella polare. Perché «Random Access Memories» è un album che guarda al passato per indovinare il futuro.

Da Parigi a Los Angeles
La genesi del disco è stata quanto mai complessa. Bangalter e Christo ci hanno investito tempo e denaro: avevano cominciato a lavorarci su nel 2008, per poi interrompere e dedicarsi alla colonna sonora di «Tron: Legacy». Hanno ripreso il progetto, ci si sono concentrati per due anni e mezzo facendo base a Los Angeles, dove Bangalter ha casa. Scelta strategica per riunire intorno a sé i prescelti protagonisti della disco dei Seventies, portarseli in sala d'incisione e «aprirsi» al loro sound. È nato così «Get lucky», primo singolo estratto dall'album retto dall'inconfondibile ritmica di chitarra di Rodgers e cantanto da Pharrell. Un pezzo Seventies oriented che si è rivelato successo di vendite in tutto il mondo e qui da noi è in testa alla classifica singoli da cinque settimane. Bello che in discoteca si torni a ballare su un riff di chitarra elettrica.

«Ri-dare vita alla musica»
Al di là dell'efficacia del singolo di punta, «Random Access Memories» si può leggere come una specie di concept album intorno all'idea del ri-dare vita alla club music, ri-mettere il digitale al servizio dell'analogico. Non a caso il disco si apre con «Give life back to music», dancefloor spedito il cui titolo è tutto un programma. Non fosse per la voce robotica di Christo, neanche ti accorgeresti che sono i Daft Punk. «The Game of Love», ballad a tratti soul, sembra frutto di un'incredibile jam tra Marvin Gaye e i Rockets. «Giorgio by Moroder» è un'intervista spoken all'uomo che scoprì una certa Donna Summer calata in ambientazione funky alla Kool and the Gang. «Whitin» si apre con un intro pianistico che fa pensare al jazz più meoldico. «Instant Crush» è un'escursione in territorio indie-rock con tanto di contributo vocale di Mr. Casablancas. «Touch» vi farà venire in mente certe suggestioni progressive, mentre «Doin' it Right» è il meno scontato tra i tormentoni house. Mettiamola così: se esiste un disco capace di riconciliare con la dance i fan della musica «suonata» - sia essa pop, rock o persino jazz –, questo disco si chiama «Random Access Memories».

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