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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2013 alle ore 08:37.

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Papa Giovanni, v'immagino nella vostra grande camera da letto, all'ultimo piano del palazzo apostolico, alla vigilia del vostro ottantesimo compleanno, il 25 novembre 1961. Non chiedetemi come sia riuscito ad arrivare sin là. Diciamo che don Loris Capovilla, il vostro segretario, ha sistemato le cose (Letture, pp. 138-140, dove si trova descritta la camera di Giovanni). È lui che mi ha detto che i vostri occhi erano «bruni, color autunno». In piedi, davanti alla vostra finestra, contemplate piazza San Pietro. Monsignor Loris sostiene che voi non l'avete mai fatta quell'osservazione sull'«apertura delle finestre in Vaticano», che i giornalisti di tutto il mondo si sono fatti obbligo di ripetere. Non vi piacciono le correnti d'aria. Ma quell'osservazione era vera per la vostra visione spirituale, ecco perché si continua a prestarvi questa riflessione.
L'orologio segna le ore sull'aria dell'Ave Maria di Lourdes, eredità di Pio XII. La luce della vostra camera si accende alle quattro del mattino, talvolta alle tre. Avete detto al cardinal Antonio Bacci: «Io mi alzo sempre alle quattro del mattino, è il mio orario di sveglia». «È molto presto», intervenne quello timidamente. «Vostra Santità ha anche bisogno di dormire ». E voi gli avete risposto: «Sì, sì, dormire. Ma bisogna anche che lavori... E poi, come si prega bene all'alba, quando tutto ancora tace» (Bacci, p. 93). A ottant'anni non avete bisogno di molto sonno. Ma non rifiutate una piccola siesta pomeridiana, sempre su una poltrona, mai a letto. Conservate il vostro diario e le vostre note personali in quel cassetto là in alto, dove sono raccolte accuratamente. Avete iniziato a tenere un diario nel 1895 per annotarvi le grazie di cui siete stato oggetto e per verificare la realizzazione dei vostri proponimenti. All'epoca regnava sul trono di Pietro Leone XIII, più anziano di quanto siete voi ora. Ed era ancora Papa quando voi, nel 1901, provinciale senza alcuna esperienza, arrivaste a Roma da Bergamo. Proprio l'altro giorno avete rivisto le note spirituali di quell'anno e avete sottolineato il passaggio che reca scritto che Gesù vi«condusse nella sua terra benedetta, all'ombra del suo Vicario, presso alla fonte della verità cattolica, sulla tomba dei suoi Apostoli, dove le zolle sono ancora imporporate dal sangue dei suoi martiri e l'aria è imbalsamata dal profumo di santità dei suoi confessori» (Il Giornale dell'Anima). Allora, avevate così bisogno dei vostri intercessori nella comunione dei santi!
Non si respira più questo «profumo di santità» nella Roma di oggi, in questa Roma capitale affollata di automobili. Si dice che padre Pio, il celebre francescano stimmatizzato, emanasse un «profumo di rose». Voi non l'avete mai incontrato. Non avete niente contro di lui. Ma preferite virtù più ordinarie, più quotidiane.
Monsignor Loris mi ha riferito che l'avete autorizzato a pubblicare il vostro Giornale dopo la morte, perché credevate che avrebbe potuto aiutare la gente. Può aiutarla, è certo, ma correte un rischio terribile esponendovi così apertamente al sarcasmo di certi, rivelando la vostra vulnerabilità, la vostra fragilità. Taluni non si accorgeranno che si tratta del resoconto di una crescita, dove la fine corona e spiega gli inizi. Voi avete intestato il vostro fascicolo del 1902 con il titolo Il Giornale dell'Anima con riferimento alla Storia d'un anima di Teresa di Lisieux. E sarà poi quello il titolo dato da Capovilla a tutto il vostro "diario spirituale". Spero che la gente capirà che si tratta del viaggio di un'anima e che rappresenta solo una piccolissima frazione di quello che avete definito «un sessantennio vissuto con la penna in mano».
Non avete gettato via mai nulla, non è vero? Avete conservato tutte le vostre intenzioni per la messa durante tutti i giorni della vostra vita, e tutti i passaporti e i visti sgualciti che avete collezionato. È forse dovuto al fatto del "contadino" che è dentro di voi, che, come lo scoiattolo, conserva ogni cosa «nel caso un giorno potesse servire»? O non è piuttosto la vostra attenzione di storico verso il documento, per quanto insignificante esso possa sembrare? Sì, è sicuramente questo.
Proprio voi avete detto che ogni diocesi dovrebbe conservare i propri archivi in modo organizzato. E poi ci sono tutte queste immagini: pitture, riproduzioni, statue, che facevano della vostra camera una specie di negozio di bric-à-brac religioso, se mi perdonate questa espressione. Ciascuna, infatti, per voi, ha il suo proprio significato. Di fronte al crocifisso c'è san Marco, patrono di Venezia e interprete di Pietro (c'è chi traduce segretario o scriba di Pietro). Marco è affiancato dai due Giovanni, il Battista e l'Evangelista. È in loro onore, e in quello di vostro padre, che vi siete fatto chiamare Giovanni quando vi si chiese di scegliere il vostro nome. Questo almeno è ciò che avete detto; suppongo ci siano state anche altre ragioni. Ci sono dappertutto delle madonne, icone di provenienza turca e greca, pitture medievali francesi. C'è la vostra statua in legno e metallo della Madonna di Covadonga. ...
Questo «campionario» si trovava nella camera dell'uomo che divenne Papa. In ogni altro caso si potrebbe essere tentati di non vederci che dei frammenti polverosi di un arco della vita o il compiacimento di un vegliardo che non riesce a staccarsi dal suo passato. Per Giovanni, invece, le cose stanno in un altro modo: aveva già convocato un concilio ecumenico che stava per lanciare la Chiesa in un'avventura ricca di esperienze. Ben lungi dall'essere prigioniero del passato, questo vecchio uomo gettava un lucidissimo sguardo sul mondo contemporaneo. E guardò sempre verso l'avvenire, sino alla fine. Era aperto allo Spirito Santo; tra la folla lo vedeva all'opera nell'umanità, aprirsi un cammino nel mondo contemporaneo.

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