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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2013 alle ore 08:41.

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Il prato all'inglese ha invaso il mondo imponendo il modello del giardino anglo-normanno e trasformando i giardinieri in schiavi. Il Mediterraneo è stato raggiunto nel dopoguerra da questa voga iniziata in Francia a fine Seicento, dilagata poi ovunque senza considerare che, ove il clima non sia favorevole, la manutenzione di questa moquette solo apparentemente naturale comporta costi proibitivi, in termini di diserbanti e irrigazioni.
Se un tappeto verde attrae per la comodità di sedersi, sdraiarsi al sole, correre e giocare, appare come una vera e propria degenerazione il giardino pubblico ove sia vietato calpestare l'erba; non sarebbe allora più bella e sensata una prateria fiorita? Altrettanto inesplicabili, se non come ostentazione di lusso, certi immacolati nastri verdi tra le rotaie dei tram.
Olivier Filippi e sua moglie Clara hanno viaggiato anni nel clima mediterraneo anche fuori del nostro bacino – in California e Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa – alla ricerca di Alternatives au gazon. Hanno studiato come fare lavorare la natura per l'uomo, tenendo conto di densità fogliare – che scoraggia altre essenze – allelopatia – che altre essenze avvelena – resistenza allo stress e capacità di vivere dove nient'altro potrebbe. Hanno scoperto erbe capaci di coprire il suolo anche senza irrigazione, come Zoysia tenuifolia, piante striscianti, come Thymus serpyllum (Elfin), cespuglietti, come Ballota acetabulosa o Euphorbia myrsinites, da disporre in aree pacciamate a ghiaino, di facile manutenzione e bell'effetto.
Perché il giardino va concepito riflettendo sulla manutenzione inevitabile e comprendendo che non è indispensabile percorrerlo tutto, anzi: assai più appagante gironzolare per sentieri tra aree gioiosamente miste, dove non è necessariamente il verde il colore dominante. Il prato ha portato alla banalizzazione del paesaggio: pareva la risposta più facile alla domanda «cosa ci metto qui?». Ma basta guardare i paesaggi selvatici, per vedere come sia ricchissima la gamma delle coprisuolo possibili, e come nulla vieti di averne anche di non calpestabili.
Ripercorrendo la storia del gazon, si capisce come questo avesse una sua ragion d'essere nelle terre d'origine: piovose, brucate. Oppure falciate a mano, su ordine del castellano. Finché la rivoluzione industriale democratizza il prato che, con l'invenzione del primo tosaerba, prima a lame e poi a motore nel 1868, diventa virale quando non addirittura, come in certi quartieri statunitensi, obbligatorio. Fino al paradosso di prati pitturati oppure svolti in rotoli di plastica: roventi al sole e quindi di breve voga. In reazione a tutto questo, il movimento del freedom lawn, lasciato fiorire, e lo xeriscaping, paesaggismo da clima desertico.

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