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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 08:38.

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«Quando l'ultimo pezzo della calotta cranica fu rimosso c'era questo oggetto che pesava poco più di un chilo, grigio come ci si poteva aspettare, ma vivo, capace di creare sogni, fantasia, scienza, letteratura, amore, rabbia». Così Ian McEwan descrive al telefono uno dei momenti più entusiasmanti della sua vita: il giorno in cui ha assistito a un'operazione al cervello. «Che la coscienza possa emergere dalla materia organizzata in un certo modo è stupefacente, è uno degli aspetti più elettrizzanti della nostra vita» racconta, riferendosi a quell'esperienza grandiosa.
Tutti i romanzieri sono studiosi del comportamento e della mente umana, McEwan lo fa con rigore scientifico. Nella sala operatoria si stava documentando per il romanzo Sabato e spesso gli capita di commentare le azioni dei suoi personaggi citando ricerche pubblicate in riviste peer-reviewed. Può descrivere la tentazione del protagonista di Sabato di rivalersi su un uomo che ha invaso la sua casa prendendo ad esempio esperimenti che mostrano come la vendetta attivi le aree del cervello della gratificazione. Perché la nemesi procura piacere "fisico": riversa ondate di dopamina negli stessi centri che ci fanno sentire appagati nel soddisfare la fame, la sete, il desiderio sessuale.
Siamo quel mucchietto gelatinoso, McEwan non ha dubbi; la mente (o anima) e il cervello coincidono: «Non credo ci sia altro». «Sono un materialista che è pieno di meraviglia – afferma poi –. È una cosa che toglie il respiro pensare che i neuroni connessi in un certo modo, scaricando fanno sì che io le parli e che lei mi parli, e che la vita cosciente possa andare avanti».
Il nostro Essere molecolare non implica però il determinismo: «Credo che abbia più libero arbitrio un'entità biologica che una creatura di dio. La mente ha miliardi di miliardi di possibili connessioni, miliardi di miliardi di possibili esiti. Per quel che mi concerne il materialismo è libertà intellettuale e libertà di azione. Ed è eroico il tentativo delle neuroscienze di capire il cervello, la coscienza». Lo è anche l'intento della letteratura, che indaga la mente e la condizione umana con strumenti differenti che «dipendono per la gran parte dall'immaginazione, dall'esperienza di vita dell'autore e da impulsi dell'inconscio, con proporzioni che variano da scrittore a scrittore».
Non si deve infatti pensare che McEwan, autore dal metodo empirico e difensore della ragione, costruisca i suoi romanzi come fossero dimostrazioni matematiche: «Quando scrivo, il processo razionale e conscio di elaborazione della trama viene per secondo, per primi ci sono impulsi irrazionali difficili da descrivere. Nel momento di iniziare la stesura di un libro non riesco a capire perché una cosa sia più importante di un'altra, ma è così: devo accettare che ci sia qualcosa che mi trascina, trattenermi dal cercare troppe spiegazioni. Mi sottometto a un processo che è un po' come sognare. La razionalità entra in gioco dopo, nella pianificazione, nel dare forma non solo ai capitoli e all'intelaiatura del libro, ma anche alla struttura della frase. È facile dimenticarlo, ma per gli scrittori il lavoro di ogni giorno è l'accumulazione di frasi che si pensa potranno essere utili. E qui c'è bisogno di un approccio più razionale, quando correggi, e correggi ancora, e cancelli, e aggiungi e fai piccole modifiche. Ma anche in questo caso è arduo dire perché una frase sia giusta e un'altra no. Per questo molti autori fanno fatica a spiegare come e per quale motivo fanno ciò che fanno. È quasi come chiedere a qualcuno perché ha pensato i pensieri che ha. Spesso non scegliamo su cosa riflettere. C'è qualcosa di incontrollabile, di casuale, e quindi incantevole nella natura del pensiero».
La mente, che vede più di ciò che noi pensiamo di vedere, mettendoci per esempio in allerta anche quando non siamo coscienti di un pericolo, o i meccanismi inconsci che ci fanno prendere decisioni economiche o politiche molto meno razionali di quanto vorremmo sono al centro di affascinanti esperimenti di cui, naturalmente, McEwan è al corrente. Gli chiediamo se crede che l'ispirazione letteraria sia frutto di processi inconsci simili. Se quella forma di conoscenza che si trasmette al lettore con le parole di un romanzo, di una poesia, o attraverso l'arte, percorra vie analoghe. Risponde citando ricerche che indagano la nozione che abbiamo di bellezza, suggerendo che alla base ci possa essere un valore adattativo. Quando subiamo il fascino sprigionato da un bel viso o da un bel corpo simmetrico, per esempio, è perché probabilmente è indice di buoni geni. Chi, nella notte dei tempi, aveva una predilezione per compagni armoniosi ha avuto più possibilità di resistere alla selezione naturale e ci ha trasmesso questa preferenza.
Ma poi osserva: «Ogni volta che leggo questi studi mi dico, "interessante, ma anche se ora lo sappiamo non cambierà nulla". Continueremo a fare le nostre scelte, manterremo gli stessi gusti pur accettando di avere un'intelligenza emotiva che agisce in tutte quelle che crediamo siano le nostre decisioni razionali».
Capire i processi biologici che ci fanno apprezzare l'arte, o innamorare, toglierà qualcosa all'appagamento che ognuno di noi prova? «Al contrario. Io credo che più conosciamo di ciò che avviene durante l'innamoramento più saremo in grado di trattenere il piacere soggettivo. Più possiamo capire, più possiamo soddisfare la nostra curiosità, più avremo meraviglia del mondo. E questo funziona sia se parliamo dei processi naturali sia se parliamo del cervello. La spiegazione non distrugge il mistero. Ho sempre pensato che la scienza aggiunga, non che porti via».

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