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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 08:38.

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«La conoscenza – prosegue – non ci impedisce di continuare ad avere le nostre esperienze soggettive. Dominio in cui la scienza probabilmente non potrà mai entrare perché la coscienza è l'unica cosa al mondo che non si può condividere. Di coscienza ognuno può avere solo la sua. Il modo con cui possiamo avvicinarci maggiormente alla coscienza dell'altro è attraverso la letteratura, a mio parere. Questa è la grande esplorazione di come sia essere nella pelle altrui, che poi è a sua volta un perfezionamento di ciò che facciamo ogni giorno quando interpretiamo le espressioni degli altri, il tono di voce, i gesti; quando cerchiamo di leggere la loro mente».
Frequente, negli scritti di McEwan, come Espiazione, la riflessione sulla relazione tra immaginazione e crudeltà, e più in generale tra immaginazione e morale. «Credo che la capacità di mettersi nei panni di un altro, l'empatia, sia il fondamento della nostra morale. Trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi». La letteratura, dunque, ha una funzione sociale? Ha la capacità di incrementare la moralità? «Questa è una domanda molto difficile. Sì, dovrebbe. Ma sappiamo anche che uno dei popoli più eruditi del secolo scorso, i tedeschi, hanno commesso alcune delle più inimmaginabili crudeltà. Viviamo con questo paradosso. Ma io continuo ad aggrapparmi alla convinzione, e forse è più una speranza, che quando la società sviluppa degli strumenti, attraverso la letteratura, la drammaturgia, il cinema, la televisione, per spingerci a considerare la condizione di altre persone, il cerchio dell'empatia, della comprensione, della compassione, si allarga. Molti scrittori hanno sostenuto che una delle caratteristiche interessanti della modernità sia questa circonferenza che si sta estendendo. Tre-quattro secoli fa per esempio nessuno si curava del benessere dei bambini, di ciò che provano. Né si preoccupava degli animali (e in questo caso è ancora così in molte parti del mondo). Stiamo diventando, o meglio, diciamo che spero che stiamo diventando, un po' più sensibili agli altri». Subito dopo aggiunge sconsolato: «Tuttavia siamo circondati dalla barbarie e dalla stupidità – una pausa di riflessione –. Credo sia una questione di fare due passi avanti e uno e mezzo indietro».
Non è però il desiderio di conoscenza il principale motivo che spinge McEwan a scrivere: «Ci sono diverse ragioni, una è dare piacere, un'altra è provare piacere, perché c'è qualcosa di profondamente gratificante nel dare forma a un romanzo. Però è vero che penso ai miei libri come a forme di esplorazione. Quando ne inizio uno spesso non so dove mi porterà. È un viaggio senza una mappa. Non sono però sicuro che ciò che guadagno al termine di questo percorso sia la conoscenza. Sicuramente arrivo ad avere idee più chiare su ciò che è la condizione umana, ciò che abbiamo in comune nelle nostre menti, e su cosa esse siano. Ogni volta che mi metto a lavorare a un nuovo romanzo è come se fosse il primo: devo imparare a scriverlo. È un processo di apprendimento».
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collisioni a barolo
Ian McEwan sarà a Barolo sabato prossimo alle 15.30 in piazza Blu per «Collisioni» (www.collisioni.it). Tra gli scrittori ospiti
del Festival (dal 5 al 9 luglio) anche
V. S. Naipaul, David Grossman e
Massimo Carlotto. Attesi anche Elton John, Jamiroquai, Giuseppe Tornatore.
Tutti i romanzi di McEwan sono editi
da Einaudi: Il giardino di cemento, Cortesie per gli ospiti, Bambini nel tempo,
Lettera a Berlino, Cani neri, L'amore fatale, Amsterdam, Espiazione, Sabato, Chesil Beach, Solar e Miele.

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