Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2013 alle ore 14:12.

My24

Sarà stata una banale coincidenza. Anzi, lo fu senz'altro. Siamo nel 1663: tra agosto e settembre, ad Amsterdam, Baruch Spinoza dà alle stampe un'«esposizione geometrica» dei Principi della filosofia di Descartes con annessa un'appendice intitolata Pensieri metafisici; in ottobre, a Roma, tra le opere di Descartes che la Congregazione per la dottrina della fede inserisce nell'Indice dei libri proibiti figurano proprio i suoi Principi della filosofia, apparsi nel 1644. Il filosofo francese era morto ormai da tredici anni, quanto a Spinoza quell'esposizione sarebbe stata la prima e l'unica opera pubblicata in vita con il suo nome.
Tutto era cominciato con alcune lezioni impartite da Spinoza a uno studente, tale Johannes Casearius, che per un certo periodo aveva alloggiato nella sua stessa pensione a Rijnsburg. Riguardavano soprattutto la seconda e la terza parte dei Principi di Descartes, ossia gli elementi essenziali della fisica, dimostrati more geometrico, e le questioni fondamentali della metafisica.
Spinoza era andato a vivere a Rijnsburg, un sobborgo di Leida, nell'estate 1661, quando decise di lasciare Amsterdam. Ma rimase sempre in stretto contatto con gli amici che risiedevano in quella città e con cui aveva formato un circolo filosofico che si riuniva regolarmente per discutere le opere di Descartes. E furono proprio questi amici che, durante una sua recente visita ad Amsterdam, lo pregarono di mettere a loro disposizione le sue lezioni cartesiane. Così, nel 1663, poco dopo essersi trasferito da Rijnsburg a Voorburg, un piccolo villaggio vicino a L'Aia, accettò di pubblicare i Principi della filosofia di Descartes.
Spinoza aveva preteso però che in una breve prefazione all'opera si chiarissero alcune cose. Anzitutto, che a essere esposta non era affatto la sua dottrina, bensì quella di Descartes, dalla quale non intendeva «discostarsi nemmeno di un'unghia». E questo valeva anche nei casi in cui egli aveva una visione diametralmente opposta, come per esempio sulla natura della volontà. Bisognava inoltre sottolineare che l'adozione del metodo geometrico, pur imponendo talvolta di modificare il procedimento dimostrativo seguito da Descartes, non andava considerata come una critica a «quel l'uomo tanto illustre». Richieste prontamente messe nero su bianco dall'amico che si incaricò di scrivere la prefazione, Lodewijk Meyer.
In un rigoroso susseguirsi di definizioni, assiomi e proposizioni, secondo il metodo geometrico appunto, Spinoza presentava dunque il sistema filosofico-scientifico che Descartes aveva affidato ai suoi Principi. Per farlo partiva dai fondamenti epistemologici e metafisici della scienza cartesiana. Prima di tutto la dimostrazione dell'esistenza dell'io, da cui si deduceva quella del l'esistenza di un Dio che non inganna, garantendo così la verità delle idee chiare e distinte. Seguiva poi la spiegazione del dualismo mente-corpo, della metafisica della sostanza e delle proprietà di Dio. E a quel punto Spinoza introduceva il lettore nel cuore della fisica cartesiana.
Era come entrare con passo sicuro e agile in un mondo di oggetti geometrici diventati reali, spogliati cioè di ogni caratteristica qualitativa e antropomorfica attribuita loro per secoli. Un mondo dove i corpi sono soltanto cose estese con proprietà geometriche come la grandezza, la forma e il movimento. Un mondo meccanicistico dove tutto si riduce a parti di materia che si muovono. E siccome la materia dei corpi si identifica con la loro semplice estensione, un corpo non può essere distinto dallo spazio che occupa, e dunque il vuoto non esiste. Un mondo pieno, senza spazi vuoti: se un corpo si muove, allora un altro deve occupare lo spazio lasciato dal primo, e così di seguito. Un mondo privo di principi attivi, dove i corpi possono agire l'uno sull'altro soltanto attraverso l'urto.
Attenendosi al testo di Descartes, Spinoza spiegava inoltre che, sebbene la causa particolare del movimento dei corpi sia l'urto, è tuttavia Dio la «causa prima e universale» del movimento nel mondo. È Dio infatti che all'atto della creazione ha impresso al mondo il movimento e che, essendo immutabile, conserva nel mondo sempre la stessa quantità di movimento. Una legge di natura fondamentale, da cui discende l'importante principio di inerzia, che stabilisce l'indifferenza dei corpi sia alla quiete sia al movimento, così come tutte le altre leggi che regolano il corso dei fenomeni nel mondo fisico. E ovviamente Spinoza esponeva anche la celebre teoria dei vortici, cui Descartes faceva ricorso per spiegare il movimento dei pianeti intorno al Sole.
Spinoza si era addentrato nel sistema di Descartes fin dagli anni cinquanta quando, abbandonata l'attività commerciale ereditata dal padre, aveva deciso che il suo futuro sarebbe stato la ricerca filosofica, la conoscenza e la vera felicità. Un esercizio liberatorio: ecco cosa fu per Spinoza la filosofia di Descartes. Rispetto agli insegnamenti tradizionali e un po' antiquati che aveva seguito nella scuola della comunità ebraica di Amsterdam, basati sul commento rabbinico e sui testi filosofici ebraici (che da ultimo, si pensi al grande Maimonide, si rifacevano ad Aristotele), leggere Descartes fu come inforcare occhiali nuovi e vedere all'improvviso il mondo in una luce diversa. Il mondo della scienza moderna, dove ogni fenomeno è il risultato di leggi e processi naturali, senza finalità né progetto. E che è il contesto in cui si colloca il suo capolavoro filosofico, l'Etica.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi