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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:30.

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A tappe bimestrali introduciamo nella sequenza dei nostri interventi in queste pagine una sorta di oasi ove riposa la grande letteratura cristiana latina e greca dei primi secoli. La nostra è una selezione e già questo fa capire quanto sia vivace l'interesse per un simile ambito a prima vista specialistico, anche in un Paese apparentemente alieno da questioni teologiche com'è il nostro. Proponiamo ora, a livello di sintesi, una sorta di manuale che vede all'opera due protagonisti importanti di questo genere di studi, Manlio Simonetti, un autentico capo-scuola e maestro che ha tenuto a lungo cattedra alla Sapienza di Roma, e la discepola Emanuela Prinzivalli, subentrata su quella cattedra e figura eminente nello studio del cristianesimo antico. Sostenuti dalla straordinaria attrezzatura storico-critica di cui sono dotati, essi ci offrono un affresco dei primi cinque secoli della teologia cristiana, fiorita in modo lussureggiante a partire dalle radici neotestamentarie.
È certo arduo descrivere un simile affresco, campito in due vaste sezioni, quella strettamente "teo-logica", trinitaria e cristologica e quella antropologica, scandite entrambe lungo due registri cronologici, dalle origini al concilio di Nicea e, quindi, al IV secolo, e da lì fino al concilio di Calcedonia e oltre, cioè al V secolo. La premessa programmatica è ribadita con forza nell'introduzione: «Intendiamo muoverci su un piano rigorosamente storico». Proprio per questo non è adottato un criterio teologico qualitativo: l'approccio storico «non può dividere il campo in buoni, gli ortodossi, e cattivi, gli eretici. Sia i cristiani considerati eretici sia quelli considerati ortodossi produssero teologia: il suo sviluppo nasce dall'interazione fra le diverse posizioni e spesso la soluzione ortodossa fu la risposta a problemi e soluzioni individuati per la prima volta dagli eretici».
In questa luce diventano significative due componenti del volume. Da un lato, la sorprendente appendice finale che elenca alfabeticamente le principali figure prese in esame, a partire da Afraate siro, da Agostino e Ambrogio fino ai due Teofilo di Alessandria e di Antiochia e al grande Tertulliano, per un totale di oltre cinquanta autori. Si comprende, così, percorrendo questa galleria di personaggi, quanto sia vasto e affollato il paniere storico-letterario a cui attingere per elaborare una sintesi (spesso tali autori hanno all'attivo un ricco bagaglio bibliografico) e quanto sia complessa una simile operazione. D'altro lato, una guida preziosa per chi vuole inoltrarsi in un paesaggio così vario, popoloso e frastagliato è offerta proprio dal primo dei venti capitoli in cui è articolata l'opera, un capitolo di natura introduttiva.
Lì affiorano e vengono ricomposti in un programma i fili molteplici che devono essere tenuti insieme per comporre il "meta-testo" che regge il monumentale "testo" storico della vicenda teologico-letteraria di quei secoli. Pensiamo, tanto per esemplificare, alla formazione della stessa base neotestamentaria su cui si edificherà l'architettura teorica successiva, una formazione che comprende anche la "cristianizzazione" della Bibbia ebraica. Pensiamo al contrappunto tra Scrittura, Tradizione, tradizioni e teologia o alla dialettica fra ortodossia ed eresia o al confronto con la cultura classica che condusse a una sorta di "ellenizzazione" e di "filosofizzazione" del cristianesimo, con esiti molto originali che, però, non riuscirono a spezzare il legame indissolubile con l'esegesi biblica. Pensiamo, infine, all'evento capitale dei vari concili e sinodi locali ed ecumenici, punti fermi in un ondeggiare maestoso e impetuoso di tesi teologiche.
Nella lista degli autori maggiori a cui sopra accennavamo è assente Minucio Felice, un personaggio forse minore, ma la cui opera Octavius, composta tra la fine del II e gli inizi del III secolo, ebbe una fama straordinaria, da vero best-seller al pari delle Confessioni di Agostino. Dell'autore, un causidicus, cioè un avvocato pagano convertito di provenienza africana, si sa ben poco. Il suo scritto, per altro affascinante, articolato in 40 capitoli, è un racconto-dialogo di natura apologetica fra tre protagonisti: l'autore, il cristiano Ottavio e il pagano Cecilio. Minucio dovrebbe fungere da arbitro in questa diatriba molto vivace che approda al trionfo del cristianesimo, tant'è vero che alla fine sulla spiaggia del mare di Ostia, ove i tre passeggiano e discutono durante le ferie autunnali, i cristiani sono diventati tre!
Ora, all'Octavius, curato da Mario Spinelli – inserito nella coraggiosa iniziativa dell'editrice Città Nuova di allestire una collana critica, con testo a fronte, degli "Scrittori cristiani dell'Africa romana" – viene accostata nel volume anche un'emozionante serie di Atti e Passioni dei martiri africani, testi mirabili sospesi tra storia e leggenda, ma sbocciati sul terreno insanguinato di quelle Chiese. Sono 11 racconti tra i quali brillano il secco interrogatorio dei cristiani di Scili in Numidia, uccisi il 17 luglio 180 a Cartagine; quel gioiello che è la Passione di Perpetua e Felicita, una matrona ventiduenne e la sua serva, a cui alluderà Testori nella sua Passio Letitiae et Felicitatis (1975), e gli Atti di Cipriano che hanno per protagonista uno dei maggiori Padri della Chiesa, vescovo di Cartagine, decapitato nella sua città il 14 settembre 258. Il tributo di sangue della cristianità è costante nei secoli ed ebbe in Africa – come lo ha ancor oggi in Nigeria – un'espressione alta e luminosa.

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