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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 08:28.

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Ogni viaggio a Qom è una sorpresa, anche per Ibrahim Mahmmoudi che da oltre 30 anni accompagna i visitatori nella città santa dello sciismo, il misterioso laboratorio ideologico della repubblica islamica. «Un giorno nel 1979 condussi qui Sadegh Ghotbzadeh, allora ministro degli Esteri, a visitare l'Imam Khomeini. La sera prima lo avevo portato a una cena e si era presentato con abiti eleganti ma quando veniva dal l'Imam indossava vestiti umili, quasi da mendicante. Poco tempo dopo fu scoperto un complotto e Ghotbzadeh venne fucilato per tradimento». Questa volta Ibrahim ha saputo che a Qom si trova un ayatollah «italiano» ma prima di incontrarlo è in programma una visita alla moschea di Fatima detta Masumeh, l'Innocente.
Quando venne costruito il tempio la piana di Qom appariva deserta, brulla e spoglia come del resto si presenta oggi il paesaggio nelle due ore di auto che la separano da Teheran. Lungo la strada si incrocia all'orizzonte un lago salato dove si dice che venissero affogate le vittime della Savak, la polizia segreta dello Shah. Ai margini della storia persiana, il destino di Qom cambiò quando qui, nell'816, morì Fatima sorella dell'Ottavo Imam Reza, sepolto nel famoso mausoleo a Mashad: anche lei ebbe diritto al suo tempio degno di un importante pellegrinaggio annunciato da una scintillante cupola rivestita d'oro. Si entra in cortili circondati da mura arabescate e rinfrescati da fontanelle per le abluzioni rituali e nelle cappelle del santuario, tra un tappeto e l'altro, si intravede il pavimento di alabastro verde chiaro, lucidato a specchio dai passi di milioni di devoti.
L'interno della cupola e delle pareti è una visione abbagliante e inaspettata: un mosaico di tessere di specchi che inondano di luce la massa dei credenti accalcati attorno alla pesante grata d'argento che protegge la tomba della santa. Per ricordare a Fatima le grazie richieste i pellegrini legano nastri colorati alle sbarre: è un modo per tenersi in contatto con l'Innocente. Nessuno, sotto la frescura delle volte – fuori ci sono 44 gradi – sembra avere fretta di uscire da questa luce quasi mistica che di giorno si riflette dagli specchi persiani alle colonne di marmo, alle scritte arabescate in bianco e oro sullo sfondo blu cobalto delle pareti.
L'area intorno al tempio è un cantiere, che sembra sfidare con il suo attivismo le sanzioni imposte all'Iran. Ovunque si costruiscono seminari per i mullah, nuove moschee, strade, viadotti e parcheggi, come se la crisi economica non avesse lambito la città. E neppure le elezioni presidenziali, vinte dal conservatore moderato Hassan Rohani, che adesso promette aperture all'Occidente e una svolta nel negoziato sul nucleare, l'hanno scossa più di tanto. Ma è soltanto apparenza: sotto le volte coraniche si decidono i destini della repubblica islamica. Fu qui che Ruhollah Khomeini diventò il leader dell'opposizione allo Shah. Era venuto a Qom per seguire gli insegnamenti dell'ayatollah Abdulkarim Haeri. «I religiosi devono tenersi fuori dalla politica», era la ferma convinzione del maestro ma il suo allievo seguì una strada completamente opposta. Il 3 giugno del 1963 – giorno dell'Ashura, il lutto sciita per il martirio di Hussein a Kerbala nel 680 – Khomeini dichiarò guerra allo Shah Reza Pahlevi con un discorso incendiario alla scuola coranica Faizieh.
Appartiene a questo celebre seminario anche «l'ayatollah italiano», Said Mustafa Milani. «Per la verità sono ancora hojatoleslam, un grado inferiore a quello di ayatollah e sono nato in Iran da famiglia di origine azera. Sono emigrato in Italia da piccolo e cresciuto a Milano dove mi sono laureato in ingegneria al Politecnico: i miei genitori vivono ancora lì. A Qom sono arrivato a 24 anni per seguire il cursus honorum di studioso dell'Islam. In realtà la mia non è stata una decisione improvvisa ma un percorso di avvicinamento iniziato con lo studio della cultura persiana, la lettura dei grandi poeti come Hafez, Saadi, Firdousi, l'autore del Libro dei Re, fino ai classici della filosofia e della religione. Ed è evidente che in questa strada di ritorno da Occidente a Oriente mi sono portato dietro anche tutto quello che avevo imparato nei decenni italiani. Non ho dovuto respingere la mia cultura occidentale, diciamo che ho fatto una selezione».
A Mustafa Milani, 44 anni, sposato con tre figli, rivolgo una domanda banale ma forse ineludibile: le due culture si possono conciliare? «Certamente, possiamo servirci della grande esperienza europea nel campo della democrazia, superiore alla nostra, per utilizzarla. Non si tratta di imitare ma di studiare le dottrine politiche alla base della democrazia occidentale: è la stessa Guida Suprema Ali Khamenei che ci ha invitato a farlo per trovare una sintesi in grado di dare vita a un modello islamico di democrazia. Ammetto che abbiamo ancora un po' di strada da fare nel campo dei diritti politici e civili. Penso però che anche gli occidentali abbiamo qualche cosa da imparare dalla nostra componente spirituale, che oggi manca a un'Europa un pò sclerotizzata. L'Oriente può indicare quali sono i valori reali e c'è una razionalità islamica rigorosa nel campo della teologia e del diritto da non trascurare, direi che la nostra si potrebbe definire una razionalità spirituale».
Qom ha più di un milione di abitanti, e una settantina di scuole teologiche, riferimento non solo per gli sciiti iraniani ma di tutti i seguaci del maggiore ramo minoritario dell'Islam, circa il 10 per cento su un miliardo e mezzo di musulmani. Il tesoro della città sono le sue biblioteche. Tra le interminabili corsie di scaffali potreste essere colpiti da un librone manoscritto posato su un leggìo: contiene tutti gli arrangiamenti quadrilateri delle 28 lettere dell'alfabeto arabo, disposti in colonne. Siccome si ritiene che il nome di Dio sia un tetragramma, cioè un insieme di quattro segni, lettere o linee, tra oltre 600mila combinazioni vi sarà anche il sommo e bellissimo nome di Dio, occulto ma ricco di potenza e benedizione. Tra le biblioteche la più prestigiosa è la Najafi, con più di 500mila volumi e 26mila antichissimi manoscritti. Nato da famiglia poverissima, l'ayatollah Najafi praticava il digiuno «vicario»: quando un musulmano non osservava il Ramadan pagava qualcuno per farlo al suo posto. L'ayatollah Najafi passò la vita a studiare e digiunare, per rendere un servizio al sapere religioso e profano.

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