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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2013 alle ore 09:06.

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Censura, cent'anni di tagli italiani

I richiesti tagli riguardavano, pure, Gioventù perduta (1947) di Pietro Germi, vietato dalla Commissione con un duro commento a firma di Giulio Andreotti (l'influente sottosegretario con delega allo spettacolo) che lo riteneva «una vera e propria scuola di reati, tanto più pericolosa in quanto efficacemente si riannoda alla psicologia e al costume dell'attuale traviato periodo post-bellico». Era ancora una nota della presidenza del Consiglio a firma Andreotti a far proprio il giudizio negativo alla pubblica proiezione (in un primo tempo concessa ) della commedia parodistica sulla creazione, Adamo ed Eva (1950), con Macario e Isa Barzizza, in quanto «il soggetto del film, la sua impostazione e il suo intero svolgimento appaiono chiaramente offensivi della coscienza religiosa popolare e, come tali, contrari al l'ordine pubblico». Gravemente mutilato risulta Grisbi (1954), con Jean Gabin e Jeanne Moreau, troppo incline all'esaltazione della violenza e a esposizioni di nudi femminili. Particolarmente penalizzati in quei decenni tra anni 50 e 60 i film di Ingmar Bergman, mentre pure A qualcuno piace caldo (1959) dovette subire due piccole ma significative mutilazioni: «Si esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico a condizione che venga soppressa la scena in cui la protagonista è a gambe nude sul letto, venga ridotta la scena in cui l'artista Tony Curtis bacia la protagonista sullo yacht». Passò a fatica anche Il corazziere (1960)di Rascel, causa la presenza di una considerazione poco decorosa della divisa della forza pubblica. Nel 1968 non fu sufficiente la partecipazione di un cast formidabile di attori (Brando, Aznavour, Coburn, Burtun, tra gli altri) a far giungere nelle sale Candy, giudicato offensivo al buon costume. Ovviamente durissima la Commissione nei confronti di tematiche richiamanti rapporti omosessuali, come per Le altre, ammesso dopo la revisione richiesta, ma sequestrato dalla procura di Roma con un'ordinanza del dicembre 1969 valida per tutto il territorio nazionale. Nel 1975 dovette ricorrere in appello persino Frankenstein Junior, vietato per altro ai minori di 14 anni, poiché il film, «pur muovendosi in chiave comica, contiene delle sequenze macabre particolarmente impressionanti».

Avvicinandosi ai giorni nostri diminuì la frequenza dei tagli imposti dalla Commissione, sostituiti da richieste (di solito accettate) ai produttori e ai registi per interventi di modifica o di "alleggerimento" di qualche scena. Ma ora, certamente, la questione più rilevante è il rapporto con la grande platea televisiva, il vero giudice ormai del successo commerciale di una pellicola. In presenza di una normativa che esclude il passaggio sul piccolo schermo per i canali in chiaro dei film vietati ai minori di 18 anni e destina alla seconda serata quelli proibiti agli under 14, si è diffusa la prassi di realizzare una "edizione successiva" del film, costruita in modo da favorire l'abbassarsi dei limiti fissati dai divieti. Come accadde nel 1983 per Bella di giorno di Buñuel, di cui venne fatta una riedizione richiesta dalla Rai, che in proposito spiegò: «In pratica con i tagli di seguito indicati abbiamo provveduto a una parziale rielaborazione del montaggio, cosicché la nuova edizione risulta purgata da quelle scene non adatte a una parte del pubblico televisivo».

In tempi in cui l'impeto innovativo della tecnologia sta cambiando tutti i modi e i ritmi della comunicazione interpersonale, risulta quanto mai utile confrontarsi con la storia del sempre instabile rapporto tra libertà di espressione e limitazione del suo pieno manifestarsi stabilito dalla legge, così come emerge da questa largamente inedita documentazione: la lettura dei passaggi percorsi dalla nostra società ne risulta facilitata e meglio compresa.

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