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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2013 alle ore 08:39.

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Volevo una terza conferma, perché così facevano Bob Woodward e Carl Bernstein. I due reporter del «Washington Post» che avevano scoperto lo scandalo Watergate e costretto il presidente Nixon a dimettersi. Mi sembrava di conoscere lo spirito che li animava, anche se solo attraverso la recitazione di Robert Redford e Dustin Hoffman, in Tutti gli uomini del presidente. Quel film, visto da ragazzo, aveva influenzato la mia vita professionale, deragliandola verso un'ingenua speranza: raddrizzare un torto, denunciare un'ingiustizia, forse persino migliorare un poco il mondo attorno a noi.
Così telefonai al governatore di una banca centrale che conoscevo da anni. Lo andai a trovare e gli raccontai lo scoop: so che fu il presidente della Bundesbank a lanciare per primo l'idea di salvare la Grecia. Fu lui a proporre che la Banca centrale europea comprasse titoli di Stato dei Paesi in crisi. So che il giorno dopo cambiò idea e che raccontò il contrario in pubblico, disse che si era opposto invano a un'idea pericolosa voluta «dagli altri». Sapevo soprattutto che da allora i tedeschi si erano sentiti traditi dal resto d'Europa e che proprio quella falsa versione dei fatti stava dividendo un Continente e mettendo in pericolo la convivenza pacifica tra i popoli europei.
Così descrissi al mio interlocutore tutti i dettagli che avevo raccolto in mesi di lavoro, gli dissi che avevo già due conferme, e infine, ridendo di me stesso, recitai la stessa scena di Carl Bernstein nel film: «ho bisogno di una terza conferma, non devi dirmi di sì, ma ora conto fino a dieci, se mi sto sbagliando mi interrompi». Contai fino a dieci ininterrottamente.
Fu uno strano scoop. Lo raccontai in un libro sull'euro-crisi, pubblicato in America nel 2012. Il libro mosse inviti da capi di Stato e uomini politici, dalla Cina alla Finlandia. L'analisi dietro il libro è stata discussa in seminari per Governi, banche centrali e università, da Washington a Berlino. Eppure, le onde sollevate sembravano alte ma invisibili. I giornali tedeschi si accaparrarono le bozze del libro, salvo nascondere una storia che smontava la loro versione della crisi. Passarono mesi durante i quali mi interrogavo sulla sordità dei media mondiali. Poi all'improvviso...
La sede del «Washington Post» è al numero 1150 della 15st street, poche centinaia di metri dalla Casa Bianca e dal mio ufficio di ricercatore a Brookings Institution. Il «Post» sta soffrendo per la crisi globale dell'editoria, ma ha ancora una voce formidabile negli Usa e nel mondo. Il 31 marzo di quest'anno, una domenica, il «Post» pubblica tre pagine di presentazione di un libro di un suo columnist. Mi colpisce subito l'attacco, perché conosco perfettamente quelle esatte parole: «All'improvviso tutti i Blackberrys cominciarono a vibrare». Le stesse che avevo usato nel mio libro. Leggo il racconto e vedo che riprende integralmente la mia storia, ne riproduce non solo la sostanza, ma i dettagli e ricopiava perfino le parole tra virgolette raccolte da me con i protagonisti.
Lasciate che vi racconti la storia. All'inizio di maggio 2010 la crisi europea è al suo culmine e sta trascinando nel baratro l'economia mondiale. La Grecia è sull'orlo del fallimento. Tutta Europa è contagiata. I capi di Governo si devono riunire d'urgenza a Bruxelles ma non hanno strumenti né soldi per salvare Atene. Solo un'istituzione può salvare l'Europa e l'economia mondiale: la Banca centrale europea. Ma la Bce non può e non vuole farlo. Non può acquistare titoli pubblici di uno Stato perché violerebbe i Trattati. Sono soprattutto i tedeschi a opporsi: temono che finisca come ai tempi di Weimar quando il capo della Reichsbank, Havelstein, finanziò il debito pubblico stampando moneta, creando l'iperinflazione e aprendo ad Adolph Hitler la conquista del potere.
Il 6 maggio 2010, il consiglio della Bce si riunisce eccezionalmente a Lisbona. La conferenza stampa di Jean Claude Trichet si svolge senza novità. Trichet nega che si sia nemmeno discusso di acquisti di titoli pubblici. Alla sera i governatori sono a cena al Palazzo de la Bacaloha quando all'improvviso tutti i loro telefonini cominciano a vibrare per una notizia improvvisa: Wall Street sta crollando del 10 per cento. Chiusi nel ristorante alle 9 di sera, i banchieri non sanno che si tratta di un incidente tecnico, il Flash crash. Pensano di essere stati loro, con la loro riluttanza a intervenire, la causa di quello che si profila come il maggior collasso finanziario della storia. Trichet convoca nel ristorante una riunione immediata del consiglio. Si discute la possibilità di calmare i mercati utilizzando i pochi strumenti già in uso. A quel punto il governatore tedesco, Axel Weber, prende la parola ed esclude mezze soluzioni: la Bce deve acquistare direttamente i titoli di Stato greci. Lo shock tra i banchieri è enorme. Proprio la Bundesbank rompe il tabù dell'aiuto a uno Stato da parte della Bce. Dopo un momento di silenzio, il presidente Trichet annuncia che in tal caso darà ordine agli uffici tecnici di preparare l'operazione.
La mattina dopo Weber si sveglia assediato dai dubbi. Durante un animato confronto, il membro tedesco della Bce, Juergen Stark, lo rimprovera duramente. Atterrato a Francoforte, Weber spedisce una email ai suoi colleghi in cui dice di aver cambiato idea e che voterà contro. È in quel momento che perde la fiducia degli altri banchieri e ogni possibilità di diventare il presidente della Bce un anno dopo, quando infatti verrà eletto Mario Draghi. Ma il peggio deve ancora venire. Dopo tre giorni Weber offre un'intervista a un giornale tedesco in cui denuncia pubblicamente la decisione della Bce che lui stesso aveva proposto. Da allora la dialettica tra Germania e resto d'Europa degenera sia a livello istituzionale sia tra le pubbliche opinioni. Tuttora il duello tra Bundesbank e Bce – di scena a Karlsruhe presso la Corte costituzionale tedesca – tiene in bilico la sopravvivenza dell'euro.

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