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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2013 alle ore 06:58.

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Caro Gregory House, si può sapere dove diavolo ti sei andato a ficcare? L'ultima volta che ti ho visto eri in partenza con il tuo amico Wilson per un viaggio disperato e senza ritorno. Ti eri appena finto morto per non andare in galera. Mica per il gusto di scappare. Ma solo per goderti in santa pace (si fa per dire) gli ultimi mesi del tuo amico Wilson, malato terminale di cancro. Trovo beffardo che l'ultima puntata della tua serie s'intitoli Tutti muoiono. Proprio a te, che ne hai salvati tanti, dovevano fare questo affronto?

E trovo ancor più ironico che il solo paziente che ti sarebbe interessato guarire – Wilson, l'amico della vita, l'oncologo dal cuore buono, vittima prediletta e consigliere inascoltato eppure insostituibile – sia uno dei pochi che tu non sia riuscito a salvare. Il tuo mestiere è il guaritore: ma, evidentemente, solo di individui di cui non ti frega un tubo. E con cui non vuoi avere nulla a che fare.

Dove sei, caro Greg? A questo punto, secondo i miei calcoli, Wilson dovrebbe essere morto. Conoscendo il tuo senso lasco della legge e della moralità pubblica, per non dire del razionalismo e dell'odio per il dolore, immagino che tu lo abbia aiutato a morire. Ma ora che Wilson non c'è più, che ne è di te? Ora che non puoi più esercitare la professione, ora che non puoi più tornare indietro, ora che l'intero mondo ti crede morto, come sbarcherai il lunario?

Di che mi preoccupo? Il tuo eclettismo è risaputo: suoni più di uno strumento, cucini come uno chef, hai la manualità di un artista, la destrezza di un ladro, l'intuito canagliesco di un broker di Wall Street... Non ti mancheranno le opportunità. Non morirai di fame. Perdonami se ti parlo così, come se tu esistessi realmente. È che non riesco ancora a credere che la serie tv che ha celebrato le tue eroiche gesta di diagnosta e i tuoi straordinari fallimenti di essere umano sia finita per sempre. Ora posso dirlo: parafrasando un celebre motto di Oscar Wilde, la fine della tua serie tv è stato il più grande dolore della mia vita. Mi hai accompagnato per otto lunghi entusiasmanti anni. Ti ho visto cambiare, incanutirti, dimagrire e subito poi ingrassare. Ti ho visto rasato e con la barba incolta. In smoking e con le scarpe da ginnastica. Ti ho visto innamorato e disamorato, drogato e disintossicato. Ti ho visto cadere e rialzarti. Ti ho visto in manicomio e in galera. In un albergo di lusso circondato da troie. Ti ho visto, strafattissimo, gettarti dal sesto piano in una piscina zeppa di gente in delirio. Ti ho visto violare tutto quello che era sacro e santificare tutto quello che era triviale ed effimero. Ti ho visto tradire qualsiasi dovere deontologico. Ti ho visto mandare a rotoli il funerale del tuo presunto padre e il matrimonio del tuo migliore amico. Ti ho visto manipolare le vite di colleghi, sottoposti, pazienti. E per questo e per tanto altro ancora ti ho amato e rispettato più della maggior parte delle persone che abitualmente frequento. Se dovessi decidere tra il tuo ritorno in scena e la morte del mio barbiere o del mio barista, be', sacrificherei questi ultimi di certo. Perché non dovrei considerarti reale?

So che detesti convenevoli e cerimonie, ma lascia che io colga l'occasione di ringraziare l'attore Hugh Laurie, per averti prestato le sue indimenticabili fattezze e la sua vocetta chioccia, studiatamente americanizzata (Laurie è inglese). E soprattutto lascia che io esprima tutta la mia gratitudine a David Shore e Paul Attanasio per averti concepito. Lo so, la tua serie non è la più bella di tutte: non ha la complessità strutturale di The Wire, né il rigore realistico dei Soprano, non è chic come Mad Men e Downton Abbey, e tuttavia tu sei il personaggio più straordinario che sia stato concepito nell'ultimo ventennio (te la batti solo con Homer Simpson e Mickey Sabbath). Ho letto che per crearti si sono ispirati a Sherlock Holmes. E, in effetti, a prima vista, la tua somiglianza al modello ottocentesco sfiora la pedanteria. Anche tu hai un amico meno intelligente e intuitivo di te il cui nome inizia con la W. Anche tu sei scapolo, strimpelli più di uno strumento, sei attratto da esperimenti velleitari. Anche tu abusi di stupefacenti. Ma soprattutto anche tu sei un osservatore impareggiabile, usi in modo geniale il metodo deduttivo e hai eletto il sospetto a strumento di conoscenza. Ma soprattutto eserciti la tua professione di medico per il puro gusto di risolvere rebus. In te, almeno apparentemente, non c'è alcun interesse per il mai tanto vituperato "fattore umano". Dei pazienti te ne infischi non meno di quanto Holmes se ne infischi delle vittime dei delitti che è chiamato a risolvere. Tu concepisci il tuo mestiere in un modo artistico, quasi flaubertiano. Nabokov diceva di scrivere libri per comporre rebus dalle soluzioni eleganti. Pare che tu guarisca la gente per lo stesso motivo. I pazienti ti annoiano (tanto più se sono bambini), per non dire dei loro piagnucolosi petulanti parenti.

Detto questo c'è qualcosa che ti rende decisamente più interessante e più vivo rispetto al tuo predecessore con pipa e violino. È evidente che la tua serie è nata dall'idea di metterti ogni puntata di fronte a un enigma diagnostico da risolvere. Ho letto su più di una rivista specializzata che i casi che ti trovi a fronteggiare, e il modo in cui li fronteggi, non hanno alcun verosimile rapporto con la realtà. Il che non stento a crederlo. Tutto quello che avviene nel tuo reparto da un punto di vista medico è decisamente ridicolo. I pazienti guariscono troppo in fretta. Dopo un'operazione si svegliano già in splendida forma. I tuoi sottoposti, poi, sanno fare tutto: analisi di laboratorio, operazioni a cranio aperto, autopsie, sopralluoghi nelle case dei pazienti. Più che uno staff di collaboratori sono supereroi. Che le questioni mediche nella tua serie occupino solo un posto esornativo lo dimostra il fatto che nel corso degli anni, puntata dopo puntata, esse siano state, per così dire, sacrificate a favore del racconto della tua vita di misantropo di genio. Ogni puntata pone un nuovo problema etico. Ogni puntata è un conte philosophique. E tutto questo per una ragione molto semplice: perché tu sei il più grande moralista classico in circolazione (anzi, forse il solo). Moralista classico nell'accezione che gli avrebbero dato i francesi. Ovvero un cercatore inesausto della verità, uno che usa il cinismo e la diffidenza per decostruire qualsiasi ipocrisia morale o affettiva. Tu non credi che la vita abbia alcun senso. Tu ritieni che visto che la vita non ha alcun senso allora, finché dura, tanto vale spassarsela (l'ultima puntata si chiude con la canzone Enjoy yourself). Il tuo presupposto è che tutti mentano. A cominciare dai tuoi pazienti che, neppure di fronte al pericolo di morire, si sentono in dovere di dire la verità. Non c'è coniuge, neppure il più innamorato, che non sia disposto a commettere adulterio. Non c'è figlio che, per autopromuoversi, non ripudi il padre o la madre. Non c'è amico che, nel momento del bisogno, si mostri fino in fondo leale. È questo il tuo disincanto, il tuo cinismo. Ma come tutti i cinici di fondo sei un sentimentalone, e anche un bravo ragazzo ferito. Tutti dicono che sei un bastardo, tu stesso lo sostieni. Ma non è così. Sei solo uno che guarda in faccia la verità, e non gli piace. Una delle cose che più spesso ami ripetere è che si può vivere con dignità ma che la morte è sempre indegna. Ed è per questo che hai scelto di vivere indegnamente: la tua dieta è scorretta, sei pazzo dei Monster Truck, del wrestling, dei videogiochi e delle soap opera. I tuoi scherzi sono feroci e grotteschi, la tua vocazione alle dipendenze è quasi proverbiale. Sei un vizioso, un drogato, un puttaniere. Sei puerile, vendicativo, sei disposto a barare per vincere una scommessa o per estorcere soldi a qualcuno. La verità è che chi non crede in niente si annoia. E tu hai ingaggiato una battaglia senza quartiere contro lo spleen che ti attanaglia. Eppoi c'è il dolore, certo. Quello che ti strazia da che, dopo un infarto, ti è stata asportata una parte del muscolo della gamba, costringendoti a camminare con un bastone e a soffrire come un cane. È il dolore il segreto di tutto. È la lotta contro il dolore per la conquista del piacere più effimero ciò che più ti caratterizza. Tu odi il dolore perché lo conosci. È il dolore ad averti reso così stronzo. È il dolore ad autorizzarti qualsiasi sconvenienza. Sei omofobo, razzista, antisemita, contro i preti, le suore. Detesti i medici di frontiera, le associazioni non governative, i filantropi, i predicatori, le madri coraggio e i figli amorevoli.

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