Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2013 alle ore 11:22.

My24

Le traduzioni, per quanto ci si provi, non sopportano più di tanto lo svecchiamento: il testo quello è. O lo stravolgi, oppure prima o poi ti ritrovi a dover usare oh, infelice. L'unica salvezza sarebbe trovare uno stile di recitazione che bilanciasse la solennità del testo. Ma non lo fa mai nessuno. Nel 2005 ci provò Alessandro Haber, Creonte in un'Antigone diretta dalla Papas: interpretazione sublime, che però pubblico e giornalisti detestarono. Quest'anno ci ha provato Ilenia Maccarrone nell'Antigone della Pezzoli, che io e mio fratello abbiamo apprezzato al punto di promettere degna sepoltura a chi di noi due soccomberà nella resa dei conti postprandiale.
Apprezzare, nel contesto del teatro greco (un contesto in cui ti duole il culo, non hai dove poggiare la schiena, le gambe ti si arrunchiano per non toccare la schiena sudata di quello davanti, e tra il momento in cui ti siedi e quello in cui ti alzi c'è un'escursione termica che l'indomani mattina rischi di buttare il sangue), significa soprattutto che in te spettatore cade quell'atteggiamento da turista del dolore antico in contemplazione davanti a una teca in plexiglass.
Questa teca si suppone custodisca l'essenza del dolore umano: il dolore quando ancora non era viziato dalla consuetudine della sua rappresentazione, dunque libero di usare parole alte, altissime, più alte delle grida, ancora capaci di significare se stesse, stupire per intensità e sopportare l'ulteriore enfatizzazione di voci tonanti.
La fregatura risiede forse in quell'aggettivo che c'è vicino a rappresentazioni, cioè classiche. Che significa questo classiche? Che assisteremo alla messa in scena di un testo classico? O che assisteremo a un modo classico di mettere in scena quel testo? Alla fine si propende quasi sempre per la seconda ipotesi. Sulle scenografie si interviene spesso – e bene – in senso attualizzante. Sulle coreografie altrettanto. Sugli effetti scenici pure. Sul tono della recitazione invece quasi mai.
Le rappresentazioni classiche a Siracusa sono cioè un poco schizofreniche. Da un lato si musealizza l'evento, cristallizzandolo in una posa fedele all'idea greca di spettacolo (si conclude al tramonto, si rispettano le unità di tempo, spazio e luogo, senza predicare il medesimo attributo come appartenente o non appartenente al medesimo soggetto nel medesimo tempo e sotto il medesimo rispetto, ecc.). Dall'altro si cerca di titillare quello stesso spettatore blandendolo col mantra che il testo antico ci parla, è sempre attuale, sembra riferirsi ai giorni nostri. Se è il testo che deve parlarmi, e parlare significa dire il testo, com'è che al teatro greco viene attualizzato tutto tranne la bouche qui prononce les paroles sul palco?
ANTIGONE JAZZ
Quest'anno l'Antigone aveva le musiche svagatamente jazzoidi di Bollani che se ne stavano un po' per i cavoli loro, e più che ordinarti che tipo di emozione provare, tendevano a distrarti: che ci fanno quelle note là a svolazzare sul palco? Chi le ha fatte entrare? Com'è che nessuno le cazzìa? Ecco, questa cosa della distrazione era molto efficace. Sopra un testo che è una specie di trattato kantiano sul dover essere, queste musichette eteree che ti invitavano a divagare, a portare i pensieri in un altrove, suggerivano un'idea di eternità proprio per questo esserci più coeve. Gli accenni di melodia che subito si smarrivano in un'altra sembravamo noi nella vita di tutti i giorni, che ormai consideriamo impossibile concedere tutta l'attenzione a una cosa sola (per quanto importante, fosse pure la sepoltura di nostro fratello) e c'è sempre qualcos'altro che ci distrae. E forse era per questo che Antigone non urlava: più per distrazione che per compostezza. Magari si era persa nelle musiche di Bollani e divagava anche lei: non più suo fratello da seppellire, ma il seppellimento di tutti i fratelli, la pietà per i morti, per i nemici (il fratello è sempre il primo nemico, specie dopo pranzo). Se Antigone fosse rimasta bloccata sul fatto che quello era il corpo di suo fratello avrebbe strillato e basta. E valle a dare torto: quello lì è suo fratello, suo e solo suo, quando ti dicono che non puoi seppellire tuo fratello, se non divaghi, se non ti astrai, puoi solo impazzire di rabbia.
Nell'Edipo Re invece c'era una specie di Carmina Burana remixato, un po' sembravano gli Enigma. Non che ci stessero male, anzi, poi la cantante era bravissima, solo che uno si chiede: ma perché tutto questo Stabilo Boss giallo fluo? Edipo si butta in terra, ulula al cielo, guaisce alla luna: perché ricalcare questo dolore già così esplicito con la musica techno Ade?
Certo, in questa Antigone il coro indossava un'incomprensibile mantella da crociato. Però cantava. E un coro che canta è sempre meglio di uno che si lamenta. E cantava in italiano, cosa che evita spasmi di insofferenza. Ed è anche vero che il coro dell'Edipo Re aveva costumi e coreografie molto più suggestivi, con questi sacerdoti dalla tignazza lucida incappottati in una zimarra che giravano come dervisci. Però si lamentavano. E pure in greco antico, cosa che ti induce a ritenere giusto che gli dei 'sta gente la facessero soffrire alla morte.
Passerà tempo prima di assistere a una tragedia recitata in toni più vicini a noi. O forse non succederà mai e sarà giusto così. Io e mio fratello la aspettiamo da una vita, convinti che solo questa miracolosa catarsi potrà interrompere la nostra coazione a scannarci sul divano dopo ogni pranzo, pure oggi che siamo adulti.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi