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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2013 alle ore 08:39.

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Quando nel fatidico, rivoluzionario 1848, dopo un completo rinnovamento di strutture e arredi, una grande festa da ballo riaprì le porte del palazzo dei Liechtenstein nella Bankgasse, le cronache del tempo si profusero in elogi della ricchezza e della raffinatezza del restauro, costato la favolosa cifra di 4 milioni di fiorini. Quell'edificio nel cuore di Vienna, a ridosso della stretta cerchia di mura cittadine, era stato acquistato alla fine del Seicento, per dare alla casata dei Liechtenstein, originaria di un borgo a poche decine di chilometri da Vienna, ed elevata al rango principesco nel 1608, un'adeguata dimora di rappresentanza nella capitale. Fino ai primi anni del '700, una folla di maestranze e artisti soprattutto italiani aveva riversato i propri talenti contemporaneamente in un grande edificio di campagna fuori le mura e in quello a poche centinaia di metri dal palazzo imperiale.
Una sorta di atto dovuto, per una dinastia in ascesa, la cui passione per le arti aveva già prodotto anche una cospicua collezione, parzialmente aperta al pubblico fin dall'inaugurazione dei due fabbricati, con dipinti di Lukas Cranach, Franz Hals, Rembrandt, Van Dyck, e soprattutto giganteschi Rubens.
Negli anni '30 e '40 dell'Ottocento, il capofamiglia Alois II diede il via ad un incisivo intervento di ristrutturazione sulla dimora di città, e i tre piani costruiti in stile barocco si riempirono di arredi Biedermeier e vennero dotati di attrezzature tecniche avanguardistiche per l'epoca, che resero lo Stadtpalais un modello per tutti gli edifici nobiliari sorti di lì a poco a Vienna tutt'attorno all'area degli enormi cantieri della Ringstrasse.
Verso la fine dell'Ottocento, con la demolizione delle ormai poco difensive mura cittadine, il Palais Liechtenstein poteva guardare direttamente sul Burgtheater, sul municipio neogotico di là dal Ring e, oltre gli ancora bassi alberi di quella nuova circonvallazione, lo sguardo si poteva spingere verso il Parlamento, oppure, sorvolando il parchetto del Volksgarten, verso la Piazza degli Eroi con la Grande Biblioteca Nazionale e il Museo Etnologico: un luogo perfetto per una famiglia intenzionata ad essere al centro della vita sociale della capitale austro-ungarica. Dentro le sale dello stabile, decine di quadri dei più importanti pittori Biedermeier, da Josef Franz Danhauser a Peter Fendi, da Friedrich von Amerling, a Ferdinand Georg Waldmüller, a Rudolf von Alt. Ingegnosi mobili ideati dai più rinomati ebanisti asburgici poggiavano sugli esclusivi pavimenti ideati e realizzati ad intarsio da Michael Thonet.
La residenza era dotata di un riscaldamento ad aria calda, che sfiorando bacili d'acqua per umidificarsi, fuoriusciva da grate poste alla base di alti candelabri. Ogni stanza era provvista di un citofono con condotti in caucciù e imboccature in avorio intagliato. Vi era un ascensore che dalla zona seminterrata di servizio, saliva fino al terzo piano. Vi erano alte porte girevoli, con un lato in legno istoriato in oro, e con un lato a specchio, per ingrandire l'ambiente. Nella sala da ballo, l'orchestra era alloggiata in un'area sotto il soffitto, invisibile agli ospiti, e valzer e mazurche si irradiavano a pioggia sui danzatori, mentre l'apertura di una botola nel pavimento consentiva giochi d'acqua.

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