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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2013 alle ore 18:45.

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Il regista polacco Andrzej Wajda. (Afp)Il regista polacco Andrzej Wajda. (Afp)

A 86 anni ottimamente portati, Andrzej Wajda arriva al Lido con un film importante fuori concorso, "Walesa. Uomo della speranza", che ricostruisce la vita politica e personale del leader di "Solidarnosc", il movimento polacco che rovesciò la dittatura comunista. La figura di Walesa, interpretato da un convincente Robert Wieckiewicz, è raccontata nella cornice dell'intervista che Oriana Fallaci (un'eccezionale Maria Rosaria Omaggio) fece al leader polacco e che compone un capitolo del libro "Intervista con il potere" (Rizzoli, 2009).

La pellicola inizia proprio con l'arrivo della reporter italiana nella casa del sindacalista e seguendo le domande di lei va a ritroso fino al 1970, epoca in cui le autorità comuniste soffocarono nel sangue le proteste degli operai. Walesa è in procinto di diventare padre, ma non riesce ad esimersi dal correre in piazza e cercare di portare pacificazione tra gente e poliziotti. Viene fermato e costretto firmare una carta che lo obbliga a collaborazione coi servizi di sicurezza, atto che a più riprese servirà al regime per indebolire la sua carica carismatica. L'animo battagliero e bellicoso di questo leader, come lui stesso ammette di fronte alla Fallaci («Sono pieno di rabbia, sin da giovane, ma ora questa rabbia la so controllare e mi serve per combattere le ingiustizie»), lo porta a una costante critica nei confronti del regime che affama la gente e blocca l'economia.

Ma è solo nel nono anniversario di quel tragico dicembre 1970 che la sua stoffa di trascinatore di masse viene in evidenza: il suo discorso alla gente è travolgente. Nel frattempo nel 1978 Karol Wojtyla diventa papa e compie una visita, seguita da migliaia di fedeli, nel suo Paese d'origine. Nell'agosto del 1980 Walesa conduce lo sciopero nel cantiere navale di Danzica, trasformandolo in una protesta religiosa e diventando il leader di Soldarnosc. Alla dura battaglia che indebolirà fortemente la dittatura e che trascinerà l'intera nazione in sciopero, il regime risponde con la legge marziale e Walesa sarà internato per un anno. Wajda ripercorre fedelmente quel periodo, passando per il premio Nobel per la Pace del 1983, che andrà a ritirare la moglie Danuta (Agnieszha Grochowscha), figura decisiva nell'opera. Sotto gli alberi del Lido, un Wajda disteso, sereno, rassicurato anche dalla notizia degli applausi in sala da parte della stampa dopo la prima proiezione, è generoso nelle risposte.

Cosa l'ha spinta a girare un altro film su Walesa, dopo "L'uomo di ferro", che vinse la Palma d'oro a Cannes nel 1981?
Vista la mia età ho potuto seguire il cammino della Polonia prima della Seconda guerra, sotto l'occupazione nazista e il comunismo fino al raggiungimento della libertà. Sicuramente so valutare chi è il colpevole e chi è un eroe e sono convinto che un eroe indiscusso dei nostri tempi è Lech Walesa. È il primo operaio che nella storia del nostro Paese ha svolto ruolo fondamentale: normalmente a spingere verso la democrazia sono gli intellettuali e l'aristocrazia. Ma quando hanno agito loro, ogni tentativo di liberare la Polonia dal giogo della schiavitù finiva con l'insuccesso. E invece Lech Walesa ci ha portati alla liberazione senza spargimenti di sangue.

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