Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2013 alle ore 08:41.

My24

Ismey ha 35 anni, si è diplomata alla scuola internazionale di recitazione, guadagna 26mila euro all'anno come impiegata commerciale in un ufficio di Reykjavík dove l'affitto di una casa costa 700 euro al mese. Il suo Paese è al primo posto nella classifica del Global gender gap (differenza di genere) pubblicata dal World economic forum che confronta ruoli e stipendi maschili e femminili in 135 Paesi. In Islanda, negli ultimi cinquant'anni, ci sono state diciannove donne a capo del governo, con una percentuale di quote rosa in Parlamento del 40%; un ministero su due ha una guida femminile, lavora l'81% delle donne che, tra i professionisti, sono la maggioranza. Maria ha 29 anni, fa la cameriera a Cuba (al 19° posto della classifica) dove non si paga l'affitto per la casa ma un litro di latte costa 2 euro. Guadagna 8 euro in pesos convertibili e altrettanti in pesos non convertibili. Sull'isola il 35% dell'Assemblea Nazionale è in rosa e le donne che lavorano sono più del 50 per cento. Scorrendo la classifica bisogna scendere parecchio per trovare l'Italia, all'80° posto, più in basso del Ghana e del Bangladesh. Nel Belpaese nessuna donna è mai stata capo del Governo, le donne in Parlamento nelle ultime legislazioni non hanno superato il 22% e nel 2011, a parità di incarico, lo stipendio femminile è stato in media del 28,3% inferiore a quello maschile, con tasso di occupazione del 47 per cento. Se si raggiungesse il traguardo di Lisbona, un'occupazione femminile al 60%, il Prodotto interno lordo aumenterebbe del 7 per cento. Confartigianato e Bankitalia confermano che se si passasse dall'attuale occupazione femminile alla media dell'area Euro (58%), si produrrebbe un incremento della ricchezza nazionale pari a quella che abbiamo faticosamente accumulato in 12 anni.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel presentare il World's Women 2010, la raccolta di dati più completa che documenta i progressi della condizione femminile in tutto il mondo ogni cinque anni, ha rilevato un generale miglioramento delle condizioni della donna nel mondo, a partire dall'aumento dei tassi di scolarizzazione, della salute e della partecipazione economica, ma al tempo stesso ha affermato che resta ancora molto da fare «in particolare per colmare il divario tra uomini e donne nella partecipazione alla vita pubblica e per combattere le molte forme di violenza a cui sono sottoposte».
Il binomio donna-lavoro è al centro di importanti riflessioni internazionali e sarà il tema di Women in Business and Society, la prima conferenza organizzata in Italia da Deutsche Bank in partnership con Eni nell'ambito del ciclo di conferenze internazionali "Women in Business". Il 17 settembre, al Piccolo Teatro Strehler di Milano (ore 15), sette donne leader nei loro settori affronteranno il tema dello sviluppo sostenibile quale nuovo motore di crescita. Leymah Gbowee, Premio Nobel per la Pace nel 2011 e direttore dell'associazione Donne per la Pace e la Sicurezza in Africa, porterà la testimonianza del suo impegno speso a favore della partecipazione delle donne nei processi di democratizzazione. Esperanca Bias, ministro delle Risorse minerarie del Mozambico, parlerà della crescita del suo Paese, ponendo l'accento sullo sviluppo del sistema energetico e sulle partnership pubblico-private.
La prima conferenza di «Women in Business» si è tenuta a New York nel 1995, da allora è diventata un appuntamento molto atteso che si è diffuso in tutto il mondo passando da Francoforte, Londra, Singapore, Sydney, arrivando ora per la prima volta in Italia, a Milano. La logica di queste conferenze è arricchire il dibattito internazionale attraverso il punto di vista e l'esperienza diretta di donne che ne sono protagoniste, anche tramite il confronto con una prospettiva maschile. Le importanti figure femminili, chiamate a dare la loro testimonianza, «non parlano di donne tra donne» ma si confrontano su temi economici di grande attualità, portando la specificità e la ricchezza della diversità. Nel primo appuntamento italiano, Eni ha aggiunto a questo taglio particolarmente innovativo un altro tipo di prospettiva e di diversità, ovvero quella del continente africano, chiamato a raccontare le dinamiche della propria crescita, a cui un'Europa in fase di ripiegamento dovrebbe guardare. L'invito di «Women in Business» all'Europa è quello di ascoltare non solo la voce delle donne ma anche le «lezioni di vita» che le arrivano dall'Africa (e dalle donne africane in particolare), abbandonando l'immagine stereotipata di un continente solo destinatario di aiuti umanitari. All'intervento delle due ospiti internazionali seguirà quello dell'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, che metterà in evidenza come il continente africano giovane e dinamico, pur avendo ancora al suo interno forti contraddizioni soprattutto in termini di violenza e difficoltà di accesso anche a beni di prima necessità, presenti elementi distintivi, compreso il ruolo delle donne, che determinano un tasso di crescita addirittura superiore a quello europeo.
La media delle donne elette nei parlamenti dell'Africa Sub-sahariana è del 22% (il Ruanda sfiora il 60%); gli Stati Uniti, la Francia, il Giappone sono al 19. Sedici Paesi africani hanno più parlamentari donne della Gran Bretagna, l'icona di questa rivoluzione gentile è Ellen Johnson Sirleaf, diventata, nel 2005, la prima presidente donna della Liberia. È anche grazie a queste women in business che la Banca Mondiale ha affermato che l'Africa sta per decollare, come capitò alla Cina 25 anni fa e all'India 15 anni fa.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi