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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 08:48.

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Il tema dell'esilio è da tempo al centro di un nuovo interesse tra gli studiosi della cultura medievale, non solo gli storici delle istituzioni – che studiano le trasformazioni della messa al bando nei Comuni italiani - e della letteratura – Dante stesso si definisce exul immeritus –, ma anche della filosofia e della teologia. Del resto la nozione di esilio può essere intesa in un senso anche molto ampio, fino a comprendere una famiglia di significati che include varie esperienze intellettuali della lontananza e dell'allontanamento. Si pensi alla peregrinatio, di ascendenza classica (per esempio il viaggio di Enea e quello di Ulisse), i cui significati si complicano cristianizzandosi, ma sempre legandosi allo spaesamento del viaggio e all'incertezza del ritorno, o alla metafora della navigatio, anch'essa classica - ma come non ricordare anche il bellissimo racconto della Navigazione di San Brandano, in certo modo un allontanamento volontario, ma alla ricerca avventurosa del Paradiso terrestre nei mari del Nord, oltre l'Irlanda. Nel linguaggio teologico la stessa condizione umana è spesso assimilata a quella dell'homo viator, il pellegrino in perenne viaggio verso la vera patria, dopo la cacciata dall'Eden e il conseguente indebolimento delle sue capacità intellettuali, morali e fisiche.
Proprio all'esilio è dedicato un numero monografico della rivista francese di letteratura italiana medievale Arzanà (n. 16-17, 2013) – curato e introdotto da Anna Fontes Baratto e Marina Gagliano e corredato di un'utilissima bibliografia – che in particolare si interessa alle «scritture» dell'esilio tra XIII e XIV secolo. L'esilio non è qui visto solo come un paradigma filosofico-politico, o teologico e giuridico, ma i vari studiosi (il volume presenta una ventina di contributi, in francese o in italiano) sono piuttosto interessati a come l'esilio si costruisca e si ampli come esperienza – anche in senso politico stretto – nella scrittura che lo racconta e lo riflette.
Lo studio di Raffaella Zanni è da questo punto di vista esemplare. L'esperienza della lontananza dall'amata è un topos della letteratura trobadorica che viene ripensato dalla poesia della scuola siciliana, con caratteri e approfondimenti propri. Questa riflessione poetica siciliana della lontananza dell'amata influenza profondamente la poesia toscana predantesca, fornendo gli strumenti espressivi per pensare non soltanto la lontananza amorosa, ma soprattutto l'allontanamento politico dalla città. La città assume i caratteri dell'amata: la città si metaforizza come donna, è la donna lontana, l'esilio è vissuto ed espresso come allontanamento d'amore. Erotica e politica, sottolinea Zanni, si stringono in Toscana in un unico nesso espressivo a cavallo dello spartiacque della battaglia di Montaperti (1260), che determina l'esilio delle fazioni guelfe e il rientro in patria dei fuoriusciti ghibellini.
Montaperti è uno spartiacque anche per l'esperienza politica e letteraria di Brunetto Latini, che Giuliano Milani rilegge confrontandola con le continue trasformazioni dello strumento del bando nel Comune medievale. Brunetto infatti è protagonista della messa al bando di un noto gruppo di ghibellini, che vengono exbanniti non in quanto tali, secondo quanto Brunetto lascia intendere, ma perché hanno tradito il Comune, alleandosi con i suoi nemici. Per Brunetto il Comune non può infatti bandire gli appartenenti a una fazione o a un'altra, perché è un'istanza superiore alle parti politiche. Ma quando a sua volta Brunetto viene esiliato, per la sconfitta dei guelfi a Montaperti, egli sottolinea in alcune sue opere di essere stato allontanato dalla città in quanto guelfo, enfatizzando da un lato la pericolosità dei cambiamenti istituzionali in atto a Firenze, dall'altro la sua identità guelfa, che lo mette così al centro di una rete di fuoriusciti che, qualche anno dopo, torneranno a Firenze assumendone la leadership politica.
La costruzione dell'identità (individuale o di gruppo) nell'esilio è peraltro uno dei percorsi di scrittura più evidenti che il tema delinea. In Iacopone da Todi per esempio, secondo la lettura di Antonio Montefusco, la scrittura dell'allontanamento e dell'esclusione diventa scrittura della dissidenza, che pur comportando la scomunica, nella battaglia di Iacopone contro papa Bonifacio VIII, conduce al rafforzamento della sua identità politica e poetica. Ma basterebbe pensare al più famoso esule della letteratura italiana, Dante Alighieri, al quale il volume dedica molti saggi, che costruisce la sua identità politica e autoriale sul l'evento dell'esilio, dapprima subìto come un torto e forse visto come avvenimento reversibile (Marco Santagata nota come i primi canti dell'Inferno siano ancora «fiorentinocentrici», come se Dante pensasse alla possibilità di un ritorno), poi vissuto come perdita della patria e della retta via (come mostra Roberto Mercuri), ma anche rivendicato (Sabrina Ferrara e Elisa Brilli) come missione politica, morale e poetica.
La storia dei fuoriusciti di Firenze è addirittura quasi un modo di parlare di Firenze nella sua essenza, una sorta di orizzonte permanente di comprensione della città, nell'epopea che Antonio Pucci delinea nel Centiloquio (studiato da Patrizia Gasparini), utilizzando la Nuova Cronica di Giovanni Villani.
L'esilio è trasformazione, rafforzamento dell'identità, ma anche perdita, indebolimento.
Non è un caso che Madama Beritola, protagonista di una novella del Decameron, costretta alla fuga dalla città e alla solitudine dell'isolamento, perda quasi le sue connotazioni umane, pascendosi d'erba, come le capre, e inselvatichendosi. L'allontanamento muta la figura dell'esiliato, il suo corpo, i suoi abiti, lo disumanizza (alcuni esempi dal Decameron nel saggio di Anne Robin, mentre Boccaccio è ripreso anche da Mathias Schonbuch). Così come è sottoposta a una singolare durezza la vita di Margherita Datini (nello studio di Michelle Schuller), tra il finire del Trecento e il Quattrocento, costretta dal ricco marito a uno strano esilio domestico. È una storia di Eloisa e Abelardo al contrario, con Margherita esiliata in un palazzo diverso da quello del marito e in contatto con lui attraverso un epistolario ricco e dai toni tribolati e a volte commoventi e realistici, che dà il sapore di un esilio familiare ed esistenziale.

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