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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 08:46.

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C'erano diverse persone sedute fra i cristalli e i velluti del bar, ma nella penombra facevo fatica a mettere a fuoco i volti. Infine vidi, sì, ed era troppo tardi per fuggire. Cinque o sei uomini, inconfondibilmente giapponesi, con le camicie bianche aperte sul petto e le scarpe lucidissime, le dita inanellate d'oro, stavano all'erta attorno a me. Strizzavano gli occhi nell'oscurità, appena rigidi ma consapevoli della posa, di quei lenti movimenti languidi offerti a chissà chi. Facevano durare il più a lungo possibile lo Champagne già caldo e di tanto in tanto spiavano sospettosi il barista, come a insinuare che fosse tutta colpa sua. Le geishe non erano venute. Sicuro che erano migrate altrove, appostate in qualche altro bar più discreto. Lì c'eravamo solo noi che avevamo letto Bangkok days.
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