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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2013 alle ore 08:49.

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Sono sempre stato un "tifoso" (come si direbbe in termini calcistici) di Pellegrino Capaldo. Anche se egli è sempre rimasto fedele al suo Maestro, Pietro Onida, nello scrivere i libri senza una formula, una notazione quantitativa qualsiasi. Ma tuttavia con linguaggio limpido, cristallino, non infarcito di anglicismi (che pure oggi vanno tanto di moda): e perciò leggibili da tutti. La sua "leggibilità" è una qualità importante di un libro: lo mette a disposizione anche dei "non specialisti" (come è, ad esempio, per larga parte dei dottori commercialisti nel campo delle valutazioni e in altri campi).
Sia Onida sia Capaldo riconoscono in Gino Zappa il fondatore dell'«Economia aziendale». Egli fu il Maestro di Onida (per lungo tempo) e mio (per poco tempo: abbastanza, tuttavia, perché potessi fargli da "assistente" nel periodo 1949-1951, prima che – diventato cieco – dovesse ritirarsi nella sua casa sul Canal Grande a Venezia). Il "periodo zappiano" nasce con l'insegnamento di Gino Zappa all'Università Bocconi e a Venezia – Cà Foscari a partire dagli anni Venti del secolo scorso. L'opera fondamentale zappiana è Il reddito d'impresa, che fu pubblicata per una parte nel 1920 e completata nel 1929. Il periodo "zappiano", nella mia ottica, si conclude con l'opera di Pietro Onida Economia d'azienda (Utet, 1960). Proprio nel 1960 Capaldo si laurea a "La Sapienza" con Onida, di cui diviene assistente di ruolo nel 1961, e alla cui cattedra succede nel 1970, a soli 31 anni. Quando, nel 1998, Pellegrino Capaldo pubblicò Reddito, capitale e bilancio di esercizio con Giuffrè credo di essere stato tra i primi a rendermi conto di quanto l'opera fosse innovativa e di altissimo livello scientifico. Infatti, immediatamente, sul numero di settembre 1998 di questa rivista, la feci oggetto di un ampio commento (di ben quattro pagine, cosa per me inconsueta). Sono assolutamente convinto di aver visto bene, nonostante l'irruzione pochi anni dopo degli IAS/IFRS (cioè dei principi contabili internazionali, di pretta marca anglosassone) che non hanno consentito all'opera di emergere come e quanto avrebbe meritato, costringendo le più grandi aziende a spostare l'attenzione su urgenze operative immediate (e in parte anche nefaste).
Scrive Capaldo: «Sotto l'aspetto economico che è quello di maggior interesse per noi, l'azienda è studiata da un'apposita disciplina, denominata appunto Economia aziendale. Nata in tempi relativamente recenti questa disciplina indaga l'azienda nelle sue fondamentali condizioni di convenienza, alla sua organizzazione, al suo ordinario funzionamento, alla strumentazione necessaria per controllare efficacemente la sua gestione e così via. Ed è quello che non abbiamo fatto in questo scritto rispondendo a domande quali: perché e come le aziende nascono? A quali condizioni possono vivere indefinitamente com'è nella loro natura? Perché e come talora cessano di esistere? Da un promettente avvio, l'Economia aziendale sul finire degli anni '60 entra in crisi. È una crisi di carattere, per così dire, epistemologico che ha cause molteplici e complesse. In parte queste cause si ricollegano allo stesso processo costitutivo della disciplina. In parte la crisi è dovuta dal fatto che nata in Italia, l'economia aziendale non si è mai internazionalizzata; non è entrata, ad esempio, nel dibattito scientifico dei Paesi di lingua inglese a ragione o a torto, costituiscono i principali punti di riferimento della cultura economica contemporanea. La stessa nozione di azienda formatasi storicamente in Italia, è praticamente sconosciuta in quei Paesi. La materia dei "centri" di produzione non ha in quei Paesi una sua unitarietà ma è ripartita tra varie discipline con una suddivisione che è al tempo stesso verticale e orizzontale. In senso verticale si distinguono (noi le chiameremmo varie classi di aziende): le corporation ovvero le grandi imprese e le non profit organization. In senso orizzontale abbiamo: la contabilità e il bilancio, il controllo di gestione l'organizzazione e così via. In Italia stiamo assistendo ad un processo che va nella stessa direzione. L'economia aziendale si va svuotando, si va frantumando in tante discipline particolari le quali perseguono una loro (apparente) autonomia e recidono ogni legame con la disciplina base. A nostro parere questa tendenza non è positiva e alla lunga frenerà il progresso degli studi. Noi siamo convinti che la nozione di azienda come momento unificante di tutti i modelli organizzativi delle produzione abbia un'importanza decisiva. E per questa ragione riteniamo anzi che l'economia aziendale debba accentuare la caratteristica di disciplina "generalista" che studia quei modelli dandosi un oggetto più chiaro di quello che fin qui ha avuto. Dall'economia aziendale potranno certo trarre origine molte discipline specialistiche le quali però dovranno sempre trovare in essa i loro principi fondamentali e la loro radice. Solo così l'insieme delle discipline che studia l'organizzazione della produzione non si limiterà a rincorrere "la pratica" appiattendosi sui problemi che essa continuamente propone, ma avrà una funzione innovativa volta ad esplorare incessantemente forme organizzative "nuove", capaci di appagare l'ansia di giustizia degli uomini».
Nella sua costruzione, dunque, Capaldo parte dall'uomo, dai suoi bisogni e dal modo di soddisfarli: l'azienda è, per lui, lo strumento attraverso il quale quei bisogni possono essere appagati. È uno strumento di grande duttilità che può essere di volta in volta modellato e foggiato proprio sulla base delle mutevoli caratteristiche di tali bisogni, nel rispetto di un unico vincolo: quello dell'equilibrio economico; nozione opportunamente illustrata dall'autore nella molteplicità dei suoi significati.

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