Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2013 alle ore 08:33.

My24

In Medeas di Pallaoro si consuma una vicenda analoga (una religiosa famiglia di allevatori piena di figli va in pezzi quando la moglie, sordomuta, tradisce suo marito con un giovane benzinaio). In entrambi i casi i registi non solo si liberano dei complessi del luogo d'origine, ma sfidano quelli del Paese d'adozione. In possesso di strumenti espressivi sconosciuti ai frequentatori dei Tea Party, sul fronte opposto sfidano i radical chic. «Sono ateo», ha detto Minervini, «ma mi affascina la guerra fredda verso questa controcultura da parte degli Stati blu, democratici: snobbano ciò che gli Stati rossi, conservatori del Midwest, rappresentano. Ma questi Stati sono il cuore dell'America.

I progressisti vorrebbero da me una condanna. Ma condannare è troppo comodo, come rappresentare i fanatici religiosi come cattivi». Sarei tentato di leggere le operazioni di Minervini e Pallaoro in modo ancora più profondo. Mi pare che uno dei drammi di noi contemporanei consista nell'essere mossi da passioni molto tradizionali (invidia, gelosia, ambizione, bisogno d'amore, d'amicizia, richiesta di lealtà...) calate però in un contesto già abbondantemente al di là del bene e del male. Che cosa accade invece se l'estetica di un film davvero contemporaneo fa ingresso in un mondo in cui bene e male hanno ancora un senso ben preciso?

Orgogliosi di questi connazionali oltreconfine, dovremmo infine domandarci se i migliori film italiani degli ultimi anni non siano in realtà tutti stranieri. Come definire In memoria di me di Saverio Costanzo, L'imbalsamatore di Matteo Garrone, L'intervallo di Leonardo Di Costanzo, La bocca del lupo di Pietro Marcello, Bellas Mariposas di Salvatore Mereu, Corpo Celeste di Alice Rohrwacher, Le quattro volte di Michelangelo Frammartino? Al contrario di quelli di cui abbiamo parlato, sono film girati in Italia, certo. Ma sono talmente estranei – per scrittura, produzione, realizzazione, distribuzione – al sistema del cinema italiano ufficiale e così poco considerati dal ministero degli addetti al gusto comune da essere più vicini a Minervini e Pallaoro di quanto non lo siano a Ferzan Ozpetek o a Marco Tullio Giordana. Lo è, straniero in patria, anche il Sacro GRA di Gianfranco Rosi, il quale (diplomato alla New York University Film School, abituato a lavorare all'estero) dopo aver deposto il Leone d'Oro ha dichiarato: «L'Italia è difficile, Roma un pantano anche culturale. All'inizio non volevo neanche girare questo film. Volevo tornare a New York».

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi