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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2013 alle ore 15:41.
L'ultima modifica è del 18 dicembre 2013 alle ore 08:31.

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Vassily Kandinsky aveva ormai trent'anni quando nel 1896 lasciò Mosca e si trasferì a Monaco di Baviera per studiare pittura. Alle spalle si lasciava non solo lo stile di vita più che confortevole che la famiglia gli garantiva, ma anche una ben avviata carriera universitaria in giurisprudenza. Eppure, a quell'età (matura per i tempi) lasciò tutto, e a Monaco, allora capitale dello Jugendstil, si iscrisse prima a una scuola privata di pittura, poi (ma ci riuscì solo al secondo tentativo) alla celebre Accademia della città.

A quella decisione singolare lo avevano condotto due esperienze vissute nei mesi precedenti, quando aveva visitato a Mosca una mostra di pittura impressionista, dove un Pagliaio di Monet gli aveva fatto scoprire «la forza incredibile della tavolozza, che andava – scrisse – oltre i limiti dei sogni» – e aveva assistito a una rappresentazione del Lohengrin di Wagner, in cui aveva provato la sensazione visionaria di vivere l'ora del crepuscolo a Mosca, quando la città avvampa nei colori del tramonto.
La sua era però una decisione solo apparentemente folle: in pochi anni bruciò infatti le tappe e già dal 1908-1909 avviò il percorso che lo avrebbe condotto alla prodigiosa avventura visiva e intellettuale del l'astrazione pura.
La mostra curata da Angela Lampe (con la collaborazione per l'Italia di chi scrive), che porta in Palazzo Reale una selezione del ricchissimo lascito di Nina Kandinsky alla Francia, lo accompagna attraverso le diverse stagioni della sua vita, scandite dai lunghi soggiorni che dopo Monaco lo avrebbero riportato in Russia, poi ancora in Germania, infine in Francia.

Perché la sua fu davvero davvero, come scrive Angela Lampe, «un'arte senza confini»; l'arte di un uomo che, con le sue tre "patrie" (nel 1928 acquisì il passaporto tedesco, nel 1939 quello francese), fu in realtà una sorta di apolide: certo un uomo in fuga, visto che dopo il primo trasferimento volontario a Monaco furono gli sconvolgimenti storici del XX secolo a scrivere la sua vita: nel 1914 a riportarlo in patria fu lo scoppio della Grande guerra; nel 1921 l'ostilità dell'ala più oltranzista dei giovani artisti sovietici lo spinse nuovamente in Germania, al Bauhaus, tra Weimar, Dessau e Berlino; nel 1933 l'avvento in Germania dei nazisti (che chiusero il Bauhaus) lo portò infine in Francia. Eppure da una vita così instabile Kandinsky seppe trarre frutti meravigliosi, perché da ognuna di quelle culture ricavò suggestioni nuove, con cui nutrì il suo linguaggio espressivo componendo un percorso sempre altissimo e sempre rinnovato fino alla morte, nel 1944.
La mostra si apre con un vero colpo di teatro: i pannelli (ricostruiti dai progetti originali) della decorazione murale perduta, presentata alla Juryfreie Ausstellung, che Kandinsky realizzò nel 1922 con i suoi studenti del Bauhaus, nella quale si proponeva di riprodurre la stessa sensazione stordente di essere "penetrato" nella pittura che lui aveva provato in una spedizione etnografica compiuta negli anni dell'università entrando in una coloratissima e iper-decorata izba contadina.

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