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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2013 alle ore 08:23.
Lo so, sembrano le previsioni del tempo. E invece è Musil. L’uomo senza qualità. Al quale quasi un secolo dopo sembra fare il verso il Jonathan Franzen de Le correzioni.
Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria.
Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia.
Poi ci sono gli incipit sapienziali, quelli in cui lo scrittore ti sbatte in faccia una verità generale che dovrebbe, almeno nelle sue intenzioni, essere tanto evidente quanto inedita. Sono gli incipit più pericolosi, quelli che espongono lo scrittore al ridicolo. Il rischio è di passare per un pretenzioso scopritore dell’acqua calda. Per capirlo prendiamo i due incipit sapienziali più celebri della storia letteraria:
È verità universalmente ammessa che uno scapolo fornito di un buon patrimonio debba sentire il bisogno di ammogliarsi.
E:
Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.
Mentre il primo (Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen) è ironico e, per così dire, circostanziato, il secondo (Anna Karenina di Lev Tolstoj), nonostante la sua fama, a un’attenta verifica, risulta non totalmente convincente. È vero, lo ha scritto Tolstoj. Le migliaia di parole che vengono dopo quelle appena citate vanno a comporre il romanzo più bello mai realizzato. Ma la verità sulla vita, che il famigerato incipit ci regala, è davvero così universale? È così vero che le famiglie felici si somigliano? La frase non funzionerebbe altrettanto bene se la ribaltassimo? «Tutte le famiglie infelici si somigliano, ogni famiglia felice è felice a modo suo». A me pare non sia meno affascinante dell’originale. Il che ci dice qualcosa di molto importante sugli incipit sapienziali. Ciò che più conta non è che svelino verità che non possano essere contraddette né smentite. Ma che le mutevoli, confutabili, verità che rivelano siano espresse in modo suggestivo. Come in qualsiasi altro ambito della vita umana, anche in letteratura il carisma è tutto. Non stupisce, allora, che il miglior incipit sapienziale della narrativa italiana, dal Dopoguerra a oggi, lo abbia scritto un tipo carismatico come Aldo Busi.
Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, di essercela tanto presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quando si è poi rivelato letale solo
per la noia che mi viene a pensarci.
Di solito gli scrittori che preferiscono aprire direttamente su un personaggio, fanno di tutto per mettere in difficoltà il loro neonato eroe. In questa arte sadica Kafka non ha rivali.
Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato.
E ancora:
Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto.
Se non cito altri incipit di questa categoria non è solo perché sto per finire lo spazio, ma perché, in questo ramo, è impossibile fare meglio di Kafka. Non resta che l’ultima specie di incipit memorabili. Quelli nei quali la lingua in cui sono scritti la fa da protagonista. Sono spiacente che siano due incipit così famosi: il fatto è che sono talmente spettacolari da non passare inosservati. Il primo è talmente consustanziale alla sua lingua che sarebbe delittuoso citarlo in traduzione:
Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta. She was Lo, plain Lo, in the morning, standing four feet ten in one sock. She was Lola in slacks. She was Dolly at school. She was Dolores on the dotted line. But in my arms she was always Lolita. Did she have a precursor? She did, indeed she did. In point of fact, there might have been no Lolita at all had I not loved, one summer, an initial girl-child. In a princedom by the sea. Oh when? About as many years before Lolita was born as my age was that summer. You can always count on a murderer for a fancy prose style. Ladies and gentlemen of the jury, exhibit number one is what the seraphs, the misinformed, simple, noble-winged seraphs, envied. Look at this tangle of thorns.
Basta questo sfoggio geniale di allitterazioni e onomatopee per capire quanto Humbert sia pervertito e disperato, e quanto Lolita sia desiderabile. Così come a Márquez è bastato coniugare un verbo al condizionale passato per dare conto della struggente melanconia retrospettiva per un mondo che non c’è più.
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.
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