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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2014 alle ore 13:50.

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Il 29 gennaio il premier Enrico Letta si troverà, a Bruxelles, una grana, piccola, se confrontata con quelle che deve schivare in Europa, nel governo e nel partito. È quella della rimozione della direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura, Federiga Bindi, nominata alla fine del 2011. La decisione arriva dopo aspre polemiche tra il ministero degli Esteri, da cui dipendono gli Iic, e la stessa Bindi, docente aggregato presso la facoltà di Economia dell'università di Torvergata.

Un appello - firmato già da numerosi di italiani che occupano posizioni di vertice nelle istituzioni comunitarie ma che sta raccogliendo online tantissime adesioni (https://www.change.org/it) – sarà consegnato a Letta in occasione della sua visita all'Europarlamento dove presenterà Expo 2015.
«Stop al cambio della guardia e stop al ridimensionamento dell'Istituto italiano di cultura di Bruxelles e appello per la conferma della professoressa Bindi alla direzione» è la richiesta che arriverà a Letta, in cui sottolinea come nei due anni della gestione Bindi l'attività dell'istituto sia stata rivitalizzata con iniziative ed offerte culturali «senza precedenti per qualità, quantità e varietà»: 250 eventi, 50mila visitatori, 2mila studenti, 106 corsi, e soprattuto bilancio in attivo. La decisione politica di eliminare il "chiara fama" (che consente di affidare la direzione ad una persona che non sia un funzionario del ministero degli Esteri) significa «rimettere un burocrate alla guida dell'Iic», come ha scritto, senza ipocrisie, la stessa Bighi in una lettera di commiato inviata nei giorni scorsi a tutti gli iscritti. Proprio alla vigilia del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea.

Non è abituata a usare perifrasi, la professoressa Bindi. Lo ha fatto a novembre scorso, con una comunicazione che adombrava l'ipotesi di chiusura della sede di Bruxelles se non fosse stata avviata una decisa strategia di rilancio. Allora le era costata una secca smentita della Farnesina, accompagnata da una presa di distanza che poteva far presagire il "benservito". E neppure oggi, dopo il mancato rinnovo dell'incarico (salvo ripensamenti del governo, dovrebbe lasciare l'Iic il 9 marzo prossimo), la professoressa le manda a dire: «È stata una bellissima avventura – scrive nel saluto agli iscritti - ma è stata anche incredibilmente dura. Ho toccato con mano cosa vuol dire avere contro, compatta, una burocrazia ostativa che ha solo un obiettivo: non cambiare e perpetuare se stessa. Due anni fa, ho trovato un Istituto in parte chiuso perchè ci pioveva dentro, con procedure arcaiche e dove si facevano pochi eventi, con scarsa partecipazione. Tra i dipendenti, un clima di sospetti e rivalità interne, mentre i rapporti con i collaboratori esterni – in primis, ma non solo, gli insegnanti - necessitavano di regolarizzazione. Lascio un Iic rinato, con un bilancio in attivo, procedure all'altezza del XXI secolo e con il personale esterno finalmente regolarizzato. Ho l'orgoglio di aver fatto dell'Iic un gioiellino e di aver mostrato che si può fare molto e bene con assai poco, se solo si vuole». Sono in tantissimi a Bruxelles che riconoscono questi meriti a Federiga Bindi. Possibile che solo al ministero non siano riconosciuti?

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