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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2014 alle ore 11:35.
L'ultima modifica è del 12 febbraio 2014 alle ore 12:10.

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Freak Antoni (ANSA)Freak Antoni (ANSA)

«Gli Skiantos muoiono incendiari». In una delle ultime interviste che ha rilasciato a Rolling Stone, (Roberto) Freak Antoni si è scritto la lapide.
E del resto da uno che già nel 1977 aveva capito che in Italia tanto valeva buttarla in vacca, nella speranza di dare una manata alle coscienze, non ci si poteva aspettare niente di meno.
È morto questa mattina, Freak, vinto da un tumore all'intestino che da oltre cinque anni gli scandiva il ritmo delle giornate tra chemio e radioterapia. Vinto nella carne, ma conoscendolo (e io la fortuna di averlo conosciuto l'ho avuta tutta), minimamente toccato nel cuore e nella testa. Perché lui, che aveva iniziato a farsi di eroina negli anni '70 ed era sopravvissuto ad altri geniacci come Andrea Pazienza, la testa l'aveva sempre tenuta saldissima al suo posto: fatto, strafatto, o lucido, Freak Antoni era uno che ragionava. Sempre. E lo faceva mettendo le parole sulla musica e usandole come strumento di critica, feroce e caustica, al sistema di un paese da cui ammetteva non si potesse pretendere troppo, essendo fatto a forma di stivale. Non sono in tanti a morire sapendo di avere avuto ragione.

Freak Antoni io l'ho conosciuto 10 anni fa, per caso, in uno studio di registrazione dove, assieme ai suoi Skiantos, stava lavorando ad un album. Arrivava con l'occhio un po' fisso e la pupilla inequivocabile, si sedeva su un divanetto e cercava le parole giuste tra rima e senso. E le trovava, sempre. Quindi si alzava, si metteva le cuffie e le cantava, per sentire come stavano sulla melodia, che quella era già chiusa. Aveva lo stomaco prominente di chi aveva sciorinato giornate da tossico che allunga la "botta" con l'alcol. Ma era la sua dimensione e riusciva a starci bene dentro. Rideva con una bocca sghemba e con gli occhi sempre, costantemente, cerchiati del nero del vizio. Era così, è sempre stato così e, alla fine, seppure io non lo abbia visto, sono certa che fosse ancora così. Senza più droga e vino «perché almeno il tumore mi ha fatto smettere di drogarmi», diceva poco tempo fa.

Il 9 gennaio scorso l'ultimo intervento per tentare di arginare la malattia che si era ripresentata, inequivocabile a invitarlo a chiudere in fretta gli ultimi progetti. Che dal 2012 aveva lasciato gli Skiantos per dedicarsi a un progetto da solista. Perché, malato o no, strafatto o no, Freak Antoni poteva vivere solo su un palcoscenico, magari a braghe calate facendo vedere il suo lato B a tutto il pubblico e costringendo chi era con lui su quel palco a fare lo stesso. Anche se quel qualcuno era una sorta di figlioccio molto simile a Zeus, almeno quanto lui era simile a Crono: che Elio (quello delle Storie Tese) non era certo uno da calarsi i pantaloni per sbeffeggiare il pubblico, troppo serio e milanese. Forse per questo più amato e pure pagato. Freak Antoni e gli Skiantos venivano tutti dalla città del Dams (dove Freak si era anche laureato nel '77) e della goliardia: la differenza (a favore di chi non è tema di questo ricordo) era evidente.

Diciotto album, di cui due live e tre raccolte, dopo il primo "Inascoltable", Roberto Freak Antoni ha chiuso la sua discografia. Da qualche parte qualcuno ha scritto che il prossimo 16 aprile avrebbe compiuto 60 anni. Il primo a non credere di poter arrivare tanto lontano nel tempo, sulle proprie gambe, sarebbe stato proprio lui. «Con tutto quel che ho fatto nella mia vita – mi disse 10 anni fa stravaccato dentro una t-shirt gialla spiegazzata – mi sembra un mezzo miracolo essere arrivato a compiere 50 anni, cara la mia sbarbina».

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