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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2014 alle ore 15:06.
L'ultima modifica è del 14 febbraio 2014 alle ore 17:14.

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Molti grandi vini hanno una storia affascinante, fatta di legami con il territorio, leggende e tradizioni, ma soprattutto ricerca e passione di alcuni individui che vi hanno dedicato spesso tutta la vita.
Non sempre però è così: il primo artefice di un grande vino può essere il caso, la sorte, magari una dimenticanza.
Due percorsi diversi, apparentemente senza nulla in comune, che nella vita reale invece si intrecciano, si confondono, vengono a coincidere anche per lunghi tratti.
Voglio oggi raccontare la storia di due grandi vini del Piemonte, il Loazzolo e il Tarasco, perfetti rappresentanti di quanto scritto: il Loazzolo è il frutto delle sperimentazioni e ricerche dell'enologo Giancarlo Scaglione, il Tarasco deve la sua nascita anche ad un appuntamento mancato.
Ma procediamo con ordine.

Loazzolo è un piccolo paese dell'alta Langa Astigiana, di circa 400 abitanti, non lontano da Canelli.
Siamo nella Val Bormida, dove è tradizione la produzione di vini passiti per il consumo familiare e, proprio a Loazzolo ed a Strevi, anche per la vendita, seppur in quantità limitate, e per le funzioni religiose.
Giancarlo Scaglione, enologo, ma anche botanico, Direttore della Gancia ed insegnante alla Scuola Enologica di Alba, ispirandosi alle sue tradizioni familiari, si dedicò alla produzione di un vino passito, un bianco dolce, usando le uve di moscato bianco.
Due principalmente le tecniche utilizzate: sovramaturazione delle uve in pianta e appassimento in fruttaio, favorendo l'infavatura da Botrytis nobile.
Il 1985 è la prima annata del suo moscato vendemmia tardiva di Loazzolo.
La grande intuizione è stata coinvolgere nel suo progetto gli altri viticoltori di Loazzolo , riuscendo così ad ottenere il riconoscimento della DOC Loazzolo nel 1992.
Ho degustato il Loazzolo dell'azienda Borgo Maragliano.

Loazzolo DOC Vendemmia tardiva 2009 di Borgo Maragliano
E' ottenuto con uve Moscato Bianco in purezza, provenienti da un vigneto del 1948, vendemmiate a partire da metà ottobre, fino all'Immacolata.
Dopo la pigiatura, la fermentazione avviene in barrique, dove si affina per 3 anni.
Tenore alcolico del 11,5 %.
Le bottiglie prodotte sono circa 4.500.
Bellissimo il suo colore giallo dorato, direi luminoso e molto appariscente.
I profumi sono molto delicati, sottili ma di piacevole intensità: piccoli frutti esotici come il litchi, miele, note agrumate, anche di canditi, fiori di campo, salvia e vaniglia.
In bocca si apre dolce, fresco, con una buona acidità, corrispondente ai profumi, con un finale dolce non dolce che mi ricorda, seppur vagamente, certi passiti friulani.
E' un vino che gioca sulla piacevolezza ma anche su armonia ed equilibrio.
Abbinabile con successo a fegato d'oca, formaggi stagionati, piccola pasticceria e zabaione.
Prezzo in enoteca: 20,00-25,00 €

Scopriamo qualcosa dell'azienda produttrice, Borgo Marigliano

Borgo Marigliano – Loazzolo (AT)
E' un'azienda a conduzione familiare di proprietà di Carlo Galliano che, aiutato dalla moglie Silvia e dai genitori Giuseppe e Germana, gestisce 25 ettari di vigneto la cui produzione viene vinificata e imbottigliata nella cantina di proprietà.
Per 5 generazioni i Galliano sono stati anche viticoltori, conferendo le uve ad altre cantine.
Con il conseguimento da parte di Carlo del diploma in Enologia, ad Alba nel 1990, hanno deciso di diventare anche vinificatori e di non vendere più ad altri le proprie uve.
Borgo Maragliano è ormai diventata un'importante realtà nel mondo della spumantistica italiana.
Significativi i vini dolci prodotti, tra i quali spicca proprio il Loazzolo.
La produzione annua è di 290.000 bottiglie, per 8 etichette diverse.

Passiamo ora al Tarasco.
E' un vino passito di uve Arneis, prodotto per la prima volta nel 1982.
Siamo sulla storica collina Cornarea, alle porte di Canale, comune nel cuore del Roero, in provincia di Cuneo.
I vigneti sulla collina sono dell'azienda Agricola Cornarea: tra questi c'erano tre filari di Arneis che non vennero vendemmiati nei tempi dovuti perchè Luigi Veronelli voleva toccarne con mano l'uva, piuttosto rara all'epoca.
Veronelli, a causa di ripetuti imprevisti, non riuscì però ad andarci e nessuno si ricordò di quei tre filari fino a fine ottobre.
Quando Piero Bovone, proprietario dell'azienda, andò a vederli, scoprì a sorpresa che sugli acini si era sviluppata la cosiddetta muffa nobile, la Botritis Cinerea, muffa che, come da tempo si era scoperto nel Sauterns, provoca la disidratazione dell'acino e rende l'uva ideale per un passito.

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