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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2014 alle ore 22:34.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2014 alle ore 11:14.

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Certi argomenti mettono tutti d'accordo. Dopo il flop di ascolti della seconda serata, Sanremo stavolta parte da una commemorazione: terza puntata nel segno del grande Claudio Abbado, scomparso esattamente un mese fa. «Ho avuto l'onore di essere suo amico», dice Fabio Fazio, citando il discorso che gli dedicò l'archistar Renzo Piano, secondo il quale il grande direttore d'orchestra «era convinto che la bellezza potesse salvare il mondo».

Spirito che gli autori del Festival della canzone italiana hanno inteso imprimere all'edizione. Questo il «gancio» che serve al conduttore per introdurre l'Orchestra filarmonica della Fenice di Venezia diretta dal giovane maestro venezuelano Diego Matheuz alle prese con l'ouverture delle «Nozze di Figaro» di Mozart. Scelta non casuale: fu proprio Abbado che, nel 2005, tolse il violino dalle mani di Matheuz e gli consegnò la bacchetta chiedendogli di sostituirlo. Da allora sarebbe nato un profondo rapporto di collaborazione.

Fazio rivolge poi un pensiero ai fatti di Ucraina («Il pensiero di tutti noi, impotenti, va ai tragici fatti che la cronaca ci sta raccontando») e apre alla competizione, con i 14 Campioni chiamati a interpretare le canzoni rimaste in gara. Il primo a esibirsi è Renzo Rubino con «Ora», il suo pop frizzante che non trascura la melodia. Giusy Ferreri esegue «Ti porto a cena con me», sorta di release 2.0 della cara vecchia canzonetta sanremese. Frankie Hi Nrg si stringe l'orlo dei pantaloni per rappare «Pedala», metafora ciclistica della vita in salsa reggae che può funzionare come tormentone. «Liberi o no», esperimento a quattro mani di Raphael Gualazzi e the Bloody Beetroots, suona sempre di più come una specie di gospel postmoderno con ritornello furbo al punto giusto. Quindi è la volta di Cristiano De André con «Il cielo è vuoto», ballata nervosa e a tratti corale.

Quindi Luciana Littizzetto resta sola, siede al centro del palco e si concentra sulla bellezza, tema di questa edizione («Chissà perché hanno chiamato me e Fabio a presentare»). Parte leggera e arriva seria, come fu già nei monologhi della scorsa edizione. Tratta della barba che trasforma gli uomini in «fighi» come Vincent Cassell o «figoidi» come Dario Franceschini. «Per la donna la bellezza sta diventando un'ossessione: più invecchiamo, più ci facciamo stirare». Ma la bellezza vera è un'altra: «quella di Lucia Annibali», donna sfigurata dall'acido, o «Seb, bimbo down scelto come modello per una pubblicità». Da qui l'appello a Ferrero e Barilla, «quanto dovremo aspettare perché anche in Italia arrivino spot del genere?». È un elogio della diversità che fa da ideale prologo all'esibizione di Dergin Tokmak, prodigioso ballerino tedesco in stampelle.

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