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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2014 alle ore 11:45.
Omelette di more del gelso
Questa antica storia la racconto per chi fosse tentato di cimentarsi a sua volta con i fichi o il falerno, il boršcv/borscht o un pranzo contadino caprese:
C'era una volta un re che poteva dir suoi tutto il potere e tutti i tesori della terra, e nondimeno non era contento, anzi diveniva di anno in anno sempre più malinconico. Ed ecco che un giorno mandò a chiamare il suo cuoco personale e gli disse: «Per tanto tempo mi hai servito fedelmente e hai imbandito la mia tavola con i cibi più sontuosi, e io ti sono affezionato. Ora però voglio da te un'ultima prova della tua arte.
Devi farmi l'omelette di more del gelso, così come l'ho gustata cinquant'anni fa, nella mia prima giovinezza. A quel tempo mio padre era in guerra, all'ovest, con il suo malvagio vicino. Costui aveva vinto e dovemmo darci alla fuga. E così fuggimmo, giorno e notte, mio padre e io, finché giungemmo in una foresta buia. Vagammo a lungo per quella foresta ed eravamo prossimi a perire di fame e sfinimento quando c'imbattemmo finalmente in una capanna. Vi dimorava una vecchina, la quale ci invitò cortesemente a riposarci, lei stessa invece si diede da fare ai fornelli, e di lì a non molto ecco davanti a noi l'omelette di more del gelso. Ma, non appena portai alla bocca il primo boccone, ecco che provai una meravigliosa consolazione, e nuova speranza scese nel mio cuore.
A quell'epoca ero ancora un bambino, e per lungo tempo non pensai più alla benedizione ch'era stata quel cibo delizioso. Ma, quando più tardi feci cercare quella vecchina in tutto il mio regno, non si trovò né lei né qualcun altro che sapesse preparare l'omelette di more del gelso. Se tu ora esaudirai questo mio ultimo desiderio, io farò di te il mio genero e l'erede del mio regno. Se però non mi accontenterai, dovrai morire». Allora il cuoco disse: «Mio signore, tanto vale che chiamiate subito il boia. Perché è vero che conosco il segreto dell'omelette di more del gelso e tutti i suoi ingredienti, dal comune crescione al nobile timo. È vero che so la formula da pronunciare nel mescolarla, e come il frullino di legno di bosso vada girato sempre da sinistra a destra perché non ci defraudi infine del premio delle nostre fatiche. Eppure, mio re, dovrò morire. Eppure la mia omelette non sarà di vostro gusto.
Come potrei, infatti, condirla con tutto ciò che quella volta avete assaporato in essa: i pericoli della battaglia e la circospezione del perseguitato, il calore del focolare e la dolcezza del riposo, l'estraneo presente e l'oscuro futuro». Così parlò il cuoco. Il re invece rimase per qualche tempo in silenzio, e si narra che di lì a non molto lo abbia congedato, carico di doni, dal suo servizio.
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