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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2014 alle ore 13:47.

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Ermanno Olmi è in grandissima forma, alla vigilia dei suoi 83 anni, ottimista nonostante sia preoccupato per la situazione italiana e internazionale.
«Prima di essere bello, questo film deve essere utile. Bisogna parlare di guerra perché i conflitti non devono accendersi mai più. Bisogna sapere, conoscere, se no come può la storia essere maestra di vita? Le celebrazioni del centenario non devono essere solo uno sventolio di bandiere, ma soprattutto un modo per capire perché si arriva a massacrare il proprio e altri popoli. Sappiamo che la guerra è la più grande stupidaggine, ma siamo sempre a rischio di ricascarci. Basti pensare ora a quei popoli non molto lontani che non possono tollerare più la propria situazione».

Olmi continua sferzando la sua platea: «Non dobbiamo limitarci a disapprovare o sottoscrivere, ma dobbiamo agire, fare. Essere onesti, come lo è Corrado Stajano, come lo è stato Tiziano Terzani. Dobbiamo essere disobbedienti quando gli ordini sono degli atti criminali. I peggiori tra noi sono coloro che non vanno a votare. Il rischio è rimanere affogati in questa sonnolenza, dove tutto va bene».

Disobbedienti, lo si capisce tra le righe, sono anche due protagonisti del film, un soldato semplice e un sergente, che non riescono a capire perché si devono eseguire ordini mortali, sulla falsariga di «La sottile linea rossa» di Terrence Malick.

«La disobbedienza è un atto morale che diventa eroismo, quando l'atto diventa morte». Nel film i militari devono rispondere al comando superiore di raggiungere posizioni pericolose per spiare le linee avverse. «Erano operazioni che avvenivano di notte con piccoli movimenti. perché qualsiasi rumore faceva capire al nemico che cosa stava preparando l'avversario. Le trincee nemiche sull'altopiano erano a distanza di otto metri una dall'altra. Ciascuno scavava per metter una mina e fare esplodere gli altri». Con grande probabilità tra i nemici nella storia di Olmi ci sarà un contatto, momenti di solidarietà: «perché tra poveri ci si riconosce». Il regista fa riferimento poi alla figura del soldato canterino, quello che portava i rifornimenti e la posta in prima linea e nessuno gli sparava perché cantava bene. «Questo è un personaggio comune a tutto l'arco alpino da est a ovest, perché il canto è un bene comune».

Il film è stato girato in condizioni estreme. «Mi aspettavo di girare in plenilunio, ma il tempo cambiava in continuazione. Un giorno arrivammo e abbiamo trovatoil set coperto da cinque metri di neve. Ci sono voluti 200 camion solo per portare via la neve con cui è stato spalato uno dei camminamenti. Era come "Otello" di Orson Welles, in cui Desdemona mutava continuamente. Si iniziava con il sole, poi scendeva la nuvola e tutto era coperto. Quando mi decidevo a girare, accettando queste condizioni atmosferiche, due minuti dopo per il controcampo nevicava. Avrei preferito girare Desdemona».

Poi Olmi torna sul profilo storico con ricordi personali: «Mio padre a 19 anni era stato sul fronte del Carso e dell'Isonzo e ci avvertiva: "Guardate che se viene la guerra, capirete cosa vuol dire anche un boccone avanzato". Allora pensavamo che esagerasse. Solo dopo mi sono accorto amaramente che aveva ragione. La guerra è un virus conosciutissimo. Le grandi guerre nascono da piccole difficoltà, bisogna sempre chiedersi il perché delle cose a cominciare da noi stessi».

E i ragazzi di «Torneranno i prati» si chiedevano perché'?
«No, non si ponevano interrogativi. Venivano dai latifondi, valevano meno di una mucca, come i contadini di Tolstoj, che pensavano che quando il padrone voleva affrancarli, dietro ci fosse una fregatura».

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