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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2014 alle ore 18:21.
L'ultima modifica è del 19 marzo 2014 alle ore 20:14.

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«In tempi di scarsi denari abbondano i consigli», diceva un caustico Riccardo Bacchelli. Non sappiamo quanto Dario Franceschini, da meno di un mese ministro dei Beni culturali, possa apprezzare l'autore del «Mulino del Po», fatto sta che la massima in questione sembra un po' animare la strategia del Collegio Romano sul «grande malato» Pompei. E non è un consiglio qualsiasi quello che persegue il titolare del dicastero, ma un vero e proprio «gran consiglio», con la partecipazione di direttori e vicedirettori generali, segretari, soprintendenti e capi di gabinetto.

Quando poco più di due settimane fa nel sito archeologico si registrarono tre crolli in tre giorni, Franceschini convocò a Roma due task force consecutive che, tra le altre cose, partorirono l'utilizzo di 2 milioni per gli interventi di manutenzione ordinaria. Risorse che, a guardar bene, la soprintendenza vesuviana aveva già nelle proprie disponibilità per il biennio 2013-2014.

Nuovo vertice in ministero quest'oggi, a seguito del furto del particolare dell'affresco di Artemide e Apollo che decorava la casa di Nettuno. Nulla da eccepire: un modello gestionale ampiamente partecipato che contempli la giusta valorizzazione delle competenze è musica per le orecchie di qualsiasi convinto democratico. E poi convocare una task force fa sempre il suo bell'effetto mediatico.

Duole però costatare che Pompei e i suoi problemi – dalla carenza di personale alla burocrazia asfissiante che mortifica la spesa, dal contesto sociale inquinato ai continui avvicendamenti al timone del sito – restano sempre là, nonostante le buone intenzioni del ministro e i consigli del suo ennesimo gran consiglio.

Forse il consiglio migliore in questi giorni glielo ha dato Louis Godart, consigliere per la Conservazione del patrimonio artistico della presidenza della Repubblica: «Per risolvere i problemi del sito – ha detto – servirebbe un nuovo Amedeo Maiuri», riferendosi all'archeologo scomparso nel 1963 che fu a lungo soprintendente. Uno con «una conoscenza del territorio senza uguali» che, assumendo semplici operai, trasformò Pompei in un cantiere permanente, in cui le emergenze venivano puntualmente tamponate prima che esplodessero. Ce ne fossero di funzionari ministeriali così.

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