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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2014 alle ore 08:02.

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Essendo Mediaset un accrocchio del secolo scorso, capita che svolga funzioni storiografiche. Una replica, forse casuale forse no, di un non meglio precisato approfondimento degli anni Ottanta, rimanda una lunga intervista a Enzo Tortora, a casa sua e a buriana appena spenta, di cui si stampano nella memoria lo sguardo, purtroppo già giallo, e sopra ogni cosa l'ammonimento: «Oggi è toccato a me, domani potreste essere voi» (ripetuto due-tre-sei volte).

Immagino che il telespettatore del tempo abbia risposto: «Triste, sì sì». Niente biasimo, era il decennio dei cocktail di gamberetti e delle pennette alla vodka. Semplicemente questo tema in quel momento non era un tema. L'appello sarà stato recepito come pura disperazione: un'ennesima declinazione del volemose bene, ma con il corollario: «Fatemi tornare a lavorare». Non lo so, non c'ero. Ma non era così. Diceva il vero, Tortora, ora lo sappiamo bene. Di tutte le castronerie che si sono susseguite sull'esserci, sul prendersi la responsabilità, sullo sbaglia soltanto chi fa, una è vera: qualcuno deve decidere. È così. E chi più di te stesso? Il giudice. Ah certo, il potere giudiziario! Vediamo: non può essere unito agli altri due, garante sull'arbitrio, dà attuazione al comando legislativo, risolve equamente la controversia. Oppure no. C'è l'errore – dell'uomo nel ruolo, giammai del ruolo nell'uomo – ma è accettabile. Fisiologico in fondo, capita ovunque. Sì, è vero, ma in parte. E questi quattro milioni di italiani dal Dopoguerra a oggi vittime a vario titolo – assolti, prosciolti – di errori giudiziari? È esattamente il compito della magistratura: sondare, scandagliare, impartire (prima di pubblicizzare), dice chi conta fino a 101 ma ha difficoltà ad arrivare a 111.

Due giornalisti, Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, hanno messo insieme un database formidabile – errorigiudiziari.com – che alla fine altro non è che il libro di storia che non avreste mai voluto leggere. Tutti gli errori giudiziari sono semplicemente rappresentati e raccontati uno via l'altro, e l'unico commento che si sussegue a mano a mano è: «Nooo!». Provateci, alla fine quasi diverte. Dice Maimone che «dal 1991 a oggi lo Stato ha speso circa 576 milioni di euro tra riparazioni per ingiusta detenzione e indennizzi per errori giudiziari. Quasi tutto, 545 milioni circa, per risarcire le decine di migliaia di ingiuste detenzioni in carcere o arresti domiciliari scontati da innocenti». Ma che cosa risponde il difensore della forca che si beve da anni il giornalista manettaro? Sempre la stessa cosa, e cioè che tutto il mondo è paese, che succede dappertutto. E però tutto il mondo non è affatto paese, perché i numeri dicono che i casi di errori giudiziari e di ingiusta detenzione accertati in Italia dal 1991 a oggi sono oltre 22.300. Circa mille l'anno. Nello stesso intervallo, 22 anni, quelli accertati negli Stati Uniti sono 1.304. Ripetiamo: 22.300 contro 1.304; 60 milioni di persone contro 300 milioni. E poi ci si stupisce delle carceri sovraffollate e si inorridisce a ipotesi di amnistia.

Ma forse è una cosa nostra, anzi deve essere una cosa nostra, di noi europei, di noi sofisticati che la separazione dei poteri mentre loro arco e frecce. Infatti ecco la Francia. Dice Lattanzi che «la spesa dello Stato francese per risarcire gli errori giudiziari nel 2009 è stata di 1,6 milioni di euro. Poco più, 1,7, nel 2008. Italia: 40,9 milioni di euro nel 2009; 37,8 milioni nel 2008». Aggiunge Maimone: «Gli ultimi dati che abbiamo contabilizzato su errori giudiziari e ingiusta detenzione risalgono al primo semestre 2013. I numeri non cambiano: Italia 1.021; Usa 87. Anche sui risarcimenti la storia è la stessa. In Francia, ultimo dato accertato, nel 2010 le richieste di riparazione sono state 90. Le sole richieste. Da noi le liquidazioni sono state 1.309». Che cosa significa? Non è che qui si osa mettere in discussione il ruolo, l'importanza, l'indipendenza, la sacralità? Sì, la sacralità.

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