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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2014 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 04 aprile 2014 alle ore 12:17.

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Un'immagine del film «The Special Need» di Carlo ZorattiUn'immagine del film «The Special Need» di Carlo Zoratti

Troppa Italia, e non sempre di alto livello, e un Von Trier che scandalizza più per il titolo che per il suo cinema sempre più anatomico. Volendo semplificare, questo è ciò che raccogliamo di un fine settimana che, come spesso accade in questa stagione, comincia ad avere una distribuzione piuttosto irrazionale e ingolfata.

Di sicuro, però, il film della settimana è forse quello più piccolo, produttivamente: parliamo di The Special Need, di Carlo Zoratti. Un viaggio alla scoperta e alla ricerca del sesso di un disabile mentale: commovente, divertente, emozionante. Il contrario di un altro percorso, quello di Lars Von Trier, sempre attraverso l'unione dei corpi, in lui esplicita e non (solo) desiderata: il suo Nymphomaniac vol. 1 è freddo e impotente, mai capace di scuoterti, o almeno di farti interrogare. Incompiuti, seppur interessanti, gli altri italiani indipendenti: I corpi estranei e Nottetempo ci fanno intuire il talento dei registi Locatelli e Prisco, ma non sanno andare fino in fondo, rimangono discontinui esercizi di stile. Non brilla per continuità neanche Ti ricordi di me?, la cui scrittura è altalenante ma interessante e in cui Rolando Ravello si conferma un regista dal tocco emotivo e speciale ed Edoardo Leo un interprete sempre più maturo e versatile.

Deludenti, infine, Divergent e Il Pretore. Entrambi tratti da due ottime opere di due scrittori – Veronica Roth e Piero Chiara -, non riescono a uscire dalla dimensione letteraria e diventare cinema, nonostante gli sforzi.

Partiamo da uno dei lungometraggi più belli dell'anno, da noi scoperto già a Locarno: The Special Need è un on the road che va dritto al cuore. La storia di Enea, autistico, e dei suoi due amici per la pelle, ti prende prima ancora che tu te ne accorga. Perché è uno schiaffo in piena faccia a un paese moralista e gretto, incapace di prendersi cura dei più deboli. Perché mostrandoci un diverso che ha capito tutto della vita – vuole l'amore, sa che basta quello per essere felici -, ci dice quanto siano fragili i "normali". Ma The Special Need non è solo un melodramma e un docufilm efficace, ma soprattutto un grande esempio di cinema, dal piano sequenza finale al modo di riprendere i comprimari e i luoghi, sempre significanti e significativi, che rendono il sesso solo un prisma attraverso cui capire culture, caratteri, sentimenti. Zoratti ha un talento cristallino che gli permette di rendere fluida ed emozionante la complessità umana, ha le stimmate del narratore di razza che con poche pennellate ti offre un quadro nitido e con tutti gli spettri dei colori dell'anima. Esattamente quello che non riesce a Lars Von Trier, anche se sul suo lavoro va sospeso il giudizio fino al Vol. 2. Arriva in Italia tagliato – e non ce ne sarebbe stato bisogno – Nymphomanic vol 1, e non mantiene nessuna delle sue promesse. Chi si aspetta un porno mascherato o anche solo dell'erotismo spinto, non entri in sala. Qui c'è solo anatomia unita a una glaciale e desolante etica ed estetica maschilista. Il cineasta danese da anni dedica la sua cinematografia alle donne, alla sua incapacità di capirle, alla sua disperata ricerca di comprenderne il mistero. E ogni volta lascia se stesso e lo spettatore che non lo ama acriticamente, frustrato. C'è una furbizia estetica nelle sue inquadrature che ricatta chi guarda in ogni momento, c'è un'abilità che non mostra mai però una grande visione, tutto rimane (quasi) sempre legato alla meschinità dell'uomo - e forse del regista stesso -, all'incomprensibilità arrabbiata della donna. Von Trier sembra sempre ripetere se stesso, ma sbiadisce con gli anni. E si può affidare solo ai suoi attori: qui, per esempio, la signora H di Uma Thurman vale il prezzo del biglietto. Il suo pugno di minuti valgono un anno di cinema, non solo il film in questione. Ma tutto il resto, parafrasando uno che si autodefiniva un guru del sesso, Franco Califano, è noia.

Si trovano ottimi interpreti della recitazione anche nelle due opere cinematografiche indipendenti italiane in uscita. Giorgio Pasotti e Filippo Timi, che si affidano con coraggio a Francesco Prisco e Mirko Locatelli per il noir Nottetempo e il percorso esistenziale e drammatico de I corpi estranei. Si affidano alla bravura di due attori versatili e coraggiosi, i due giovani registi, e con loro mostrano anche il loro talento visivo e narrativo. Il problema è che entrambi sono troppo discontinui e soffrono di una sceneggiatura balbettante e involuta.

Locatelli ci porta dentro la malattia con tutto il dolore che porta non tanto a chi ne è affetto, ma soprattutto a chi la subisce. Agli affetti. Con lui scopriamo come un ospedale possa diventare la lente d'ingrandimento del mondo e degli esseri umani. Il punto è che, volutamente, rimane spesso inerte quel materiale così sensibile, si gioca troppo per sottrazione, ci si affida al cervello più che al cuore. E in un film così non si riesce a far vibrare le corde giuste.

Nottetempo, se vogliamo, è un esperimento ancora più interessante. Prisco, con intelligenza, sceglie un film di genere per il suo esordio, giocando con il cinema e i suoi stereotipi, rovesciando ruoli e archetipi narrativi. Pasotti poliziotto bastardo e allo stesso tempo eroe che salva una principessa sognatrice (Nina Torresi) e che abbandona la madre di suo figlio (Esther Elisha, attrice di razza con un'espressività valorizzata dal genere, perfetta per nascondere e allo stesso tempo mostrare una vita dolente). Ma se Prisco è capace di capire e disegnare le piccole e grandi meschinità di uomini e donne, non regge alla prova del noir, non sa appassionarci alla macrostoria che racchiude tutto.

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