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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2014 alle ore 09:59.
L'ultima modifica è del 15 aprile 2014 alle ore 08:23.

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«E.T. telefono casa…»: dietro a una delle battute che hanno fatto la storia del cinema c'è un cervello italiano, Carlo Rambaldi, creatore del celebre alieno protagonista del film di Steven Spielberg del 1982.
Maestro degli effetti speciali e della robotica, Rambaldi iniziò a lavorare nel mondo del cinema tra la fine degli anni '50 e i primi anni '60.

Dopo aver collaborato a produzioni thriller italiane di buon livello, da «Reazione a catena» di Mario Bava a «Profondo rosso» di Dario Argento, vince il suo primo Oscar nel 1976 grazie a «King Kong», per il quale costruì un pupazzo del gorilla alto 12 metri.
Il successo lo porterà ad essere chiamato da Spielberg per lavorare a «Incontri ravvicinati del terzo tipo» e, in seguito, da Ridley Scott per «Alien», film che gli regalerà la seconda statuetta: in queste pellicole affina la sua abilità nella meccatronica, ovvero quegli effetti speciali ottenuti dall'unione tra meccanica ed elettronica.

Il terzo e ultimo Oscar arriverà con la sua creatura più importante: E.T.. Per realizzarlo usò tre diversi modelli: uno di tipo elettronico dotato di ottantacinque punti di movimento, uno meccanico ed elettronico con sessanta punti e, infine, uno solo meccanico con quaranta punti, per un costo complessivo di due miliardi di lire.
Ritiratosi dal mondo del cinema nel 1988 e scomparso nell'agosto del 2012, Rambaldi (così come altri artisti del periodo, tra cui si può citare Giannetto De Rossi, abituale collaboratore di Lucio Fulci) ha contribuito ad aprire la strada ai tanti italiani talentuosi che oggi lavorano all'estero nei reparti effetti speciali delle grandi case di produzione.
In pochi conoscono i nomi di Marco Relevant, Luca Fascione e Andrea Merlo (solo per nominare alcuni dei nostri connazionali dipendenti della Weta in Nuova Zelanda) ma il loro lavoro, incentrato su effetti speciali e computer grafica, ha contribuito al successo di «King Kong» (2005) di Peter Jackson e, soprattutto, di «Avatar» (2009) di James Cameron, ancora oggi il film con l'incasso più alto della storia del cinema grazie ai 2 miliardi e 782 milioni di dollari guadagnati in tutto il mondo.

Se gli italiani all'estero si trovano spesso nei credits degli effetti speciali dei film in live action (basti pensare a Gianfranco Gaioni, che ha collaborato a «La bussola d'oro» di Chris Weitz e a «Hellboy: The Golden Army» di Guillermo del Toro), ancor più ricca è la presenza tricolore nelle più blasonate case d'animazione a stelle e strisce.
In primis la Dreamworks Animation che ha puntato fortissimo su due nomi di casa nostra: il primo è Alex Ongaro, da qualche anno a capo del reparto effetti speciali dell'azienda per film come «Shrek… e vissero felici e contenti», «Turbo» e il futuro «Kung Fu Panda 3»; il secondo è Alessandro Carloni che, dopo essere stato supervisore dell'animazione del primo «Kung Fu Panda», si prepara a esordire alla regia con «Me and My Shadow», film di prossima uscita.

Infine, il nome forse più importante in assoluto è quello di Enrico Casarosa, la cui carriera ha avuto a che fare, come per Rambaldi, con i robot, seppur in chiave digitale.
Nato a Genova, Casarosa si è trasferito a New York all'età di 20 anni per studiare animazione: dopo aver lavorato con la Blue Sky, agli storyboard de «L'era glaciale» e del film «Robots», nel 2006 è stato ingaggiato dalla Pixar per collaborare ai lungometraggi «Ratatouille» e «Up».
I responsabili della casa diretta da John Lasseter hanno visto in lui un così grande talento da affidargli in breve tempo la regia de «La luna», cortometraggio del 2011 che vinse l'Oscar nella sua categoria.
Al momento Casarosa è al lavoro sullo script del film «The Good Dinosaur», previsto per il 2015. Il passaggio alla regia di un lungometraggio appare imminente e, chissà, che non arrivi presto anche un altro Oscar per il talentuoso artista italiano.

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