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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2014 alle ore 18:40.

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Per la letteratura, se non per la storia, il 25 aprile di quest'anno segnerà un anniversario della Liberazione assolutamente eccezionale. Escono infatti da Einaudi – nei Supercoralli – i racconti semi-inediti di un vecchio partigiano bergamasco, il novantenne Giulio Questi. E sono racconti di tale qualità da iscrivere il nome dell'autore, dritto dritto e per diritto, in un elenco sceltissimo di combattenti-narratori della Resistenza italiana: nella compagnia sovranamente ristretta di Calvino, di Fenoglio e di Meneghello.
Cresciuto in una famiglia antifascista, dopo l'8 settembre 1943 Questi era passato quasi senza accorgersene dai banchi del liceo classico di Bergamo alle prime prove della Resistenza. Arrestato dalla Wehrmacht come attivista di Giustizia e Libertà, poi rilasciato, nell'inverno del '44 si era trovato a militare, in val Seriana, nella formazione di Angelo Del Bello, un comandante partigiano tanto efficace nella lotta contro i tedeschi quanto insofferente alla disciplina della Resistenza organizzata. Dopodiché Questi aveva raggiunto, in val Brembana, la banda autonoma dei «Cacciatori delle Alpi», nelle cui file aveva combattuto durante il secondo autunno, il secondo inverno e la seconda primavera: fino alla discesa su Bergamo, il 27 aprile 1945, e alla caccia all'uomo contro i collaborazionisti.

Come altri reduci del partigianato, della sua Resistenza Questi non aveva tardato a fare letteratura: due dei quindici racconti pubblicati oggi da Einaudi con un titolo scopertamente allusivo a Vittorini, Uomini e comandanti, uscirono già nel 1947 sull'einaudiano «Politecnico», diretto da Vittorini medesimo. Ma poi – per cinquant'anni – Questi ha avuto altro da fare che scrivere di Resistenza. Lasciata Bergamo per Roma, è diventato uomo di cinema. Attore, ha recitato ne La dolce vita di Fellini. Sceneggiatore, è andato a un passo dal realizzare, d'intesa con Fenoglio, la trasposizione cinematografica di Una questione privata. Regista, ha girato nel 1967 un film che gli esperti venerano come un cult-movie, lo spaghetti-western Se sei vivo spara. Soltanto negli anni Novanta, dopo mezzo secolo di silenzio condito dalle esperienze più varie (inclusa, nei Caraibi degli anni Settanta, la residenza non obbligata su un'isola deserta), Questi è ritornato a raccontare la sua guerra civile, dietro istigazione letteraria di colui che negli anni Sessanta aveva fondato l'Istituto della Resistenza di Bergamo: lo storico Angelo Bendotti, che di Uomini e comandanti firma ora un'intensa postfazione.

La narrativa di Questi appare come sospesa sulla vertigine di un paradosso: nei suoi racconti c'è tutta la Resistenza, ma non c'è nessuna Resistenza. C'è tutta la Resistenza, nel senso che il lettore incontra – episodio dopo episodio – la gamma completa o quasi delle situazioni rilevanti in un'esperienza partigiana. C'è il formarsi incerto delle bande, l'aggregazione casuale di volontari malmessi. C'è l'organizzarsi difficile delle brigate, l'alchimia precaria della dissidenza e dell'obbedienza. Ci sono gli amorazzi rubati alla lotta, gli spaventosi rastrellamenti e gli aviolanci mancati, le pietose onoranze per i compagni caduti, gli spietati conflitti interni al partigianato. Ci sono gli attacchi temerari contro i presidi della Guardia nazionale repubblicana, e ci sono le spedizioni punitive contro gli ufficiali di Salò.

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