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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2014 alle ore 09:41.

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All'inizio il calcio era un gioco in cui si correva disordinatamente in gruppo dietro a una palla, caricando a testa bassa il blocco di avversari. Non esistevano quasi i passaggi e l'unico gesto tecnico concepibile era il dribbling. Era uno sport violento in cui si esprimevano coraggio e virilità: Jonathan Wilson, nella storia tattica La piramide rovesciata, racconta che nel mettersi d'accordo sulle regole di base, in età vittoriana, nel Regno Unito si discuteva soprattutto se vietare i calci sugli stinchi.

Meno di duecento anni dopo, con un'accelerazione negli ultimi venti, il calcio si è evoluto fino a diventare uno sport complesso, forse addirittura intelligente. Da quando ogni azione viene scomposta in categorie misurabili possiamo renderci conto di quante cose in effetti succedano in campo. Secondo Stefano Faccendini, manager per l'Italia di Opta (una delle principali società che raccolgono e vendono dati sportivi), una partita di novanta minuti genera in media tra i 1.600 e i 2.000 eventi. Si riferiscono ai tocchi di palla, quindi dipende dalle squadre: «Con il Barcellona saranno senz'altro intorno ai 2.000». Ogni tocco finisce in più di una statistica. Di un passaggio tra due giocatori, ad esempio, si tiene conto della lunghezza, della direzione, della qualità (se era un filtrante, un assist, un cross) della posizione in cui è partito e di quella in cui è arrivato. Finisce anche nella percentuale del possesso palla (che Opta calcola sommando i passaggi delle due squadre e facendo la percentuale di ognuna). Ai dati tecnico-tattici, poi, vanno aggiunti quelli fisici: chilometri, numero di scatti, e altre informazioni che vengono raccolte con strumenti come cardiofrequenzimetri, Gps, telecamere che coprono tutta la superficie del campo. Le società sono molte: ognuna offre qualcosa di diverso dall'altra.

A nessuno verrebbe in mente di sostituire la visione di una partita con le statistiche. «Devi avere la capacità di leggere i numeri, altrimenti non ti dicono assolutamente niente», dice Faccendini. Ma non dovrebbe stupirci la notizia data dal Guardian, in un pezzo dal titolo emblematico How computer analysts took over at Britain's top football clubs, sul fatto che il Manchester City abbia appena assunto undici analisti per le statistiche. Dell'esistenza dei Big Data nel mondo del calcio ce se siamo accorti anche noi italiani da quando parte di quei numeri è finita su Gazzetta e Corriere dello Sport sotto forma di elenchi e classifiche sempre più dettagliate. Sul portale della Serie A c'è un'area statistiche, come pure sulla pagina di alcune squadre e dei calciatori: Totti ha il contatore per i colpi di tacco (al momento è a quota 1.064). Siti come Squawka e WhoScored mettono a disposizione dati semi-professionali e molti italiani hanno familiarizzato con le statistiche nei centri scommesse. Siamo passati dalla conta di calci d'angolo e tiri nello specchio a Billy Costacurta che su Sky manipola uno schermo alimentato con dati statistici. Continua Faccendini: «Questo è solo l'inizio. Ormai le statistiche le pubblicano quasi tutti, non solo giornali sportivi. Ce le chiede anche Leggo».

In realtà, informazioni del genere nel calcio, sono a disposizione da anni. Anzi, chiunque può ricavare il dato "puro" a mano, guardando una partita. Charles Reep, wing commander della Royal Air Force, nel secondo dopoguerra ideò un sistema di simboli con cui accumulò le informazioni di più di duemila partite, impiegando più o meno ottanta ore a gara. Solo la finale di Coppa del Mondo del 1958 gli portò via tre mesi di lavoro (poi ne trasse conclusioni arbitrarie, ma resta un precursore). Società come Opta e Prozone sono nate in Inghilterra a metà degli anni 90, quando anche l'Italia aveva il suo pioniere: Adriano Bacconi in quegli anni creò la Digital Soccer (ora Panini), prima di lavorare per Lippi durante il Mondiale del 2006 e andare poi a predicare saggezza nel deserto della tv italiana. Manipola dati da vent'anni anche Antonio Gagliardi, analista della Nazionale e già consulente della società di raccolta dati e analisi video Sics e poi di Opta. Oggi la vera novità sta nell'interesse crescente dei media e di un pubblico di non addetti ai lavori. Bisogna distinguere tra analisi video e statistica, anche se un approccio non esclude l'altro. Preparare una partita con il video è una prassi normale fin dai tempi del Vhs, prima se ne occupava il viceallenatore e adesso tutte le squadre di alto livello hanno una o più persone specializzate all'interno dello staff. Ma non è detto che tutte usino le statistiche per analizzare le proprie performance o quelle delle avversarie. Il Guardian sostiene che tutti i venti club di Premier League e alcuni nelle categorie inferiori impiegano data analysts, ma in Italia quando si parla di analisi è soprattutto quella video (e i dati più usati sono quelli fisici che interessano specialmente i preparatori atletici). Le due figure, video analyst e data analyst, non sono separate e di fatto dipende dai gusti dei singoli allenatori se, e quanto, tenere conto delle statistiche. Secondo Gagliardi in Italia più che altro le statistiche «si controllano».

Tra i più interessati ai numeri, in Italia, ci sono Rafaél Benítez per il Napoli (che usa i dati anche nelle analisi che pubblica sul suo blog) e l'ex tecnico di Palermo e Nazionale Under 21, ora allo Spezia, Devis Mangia. «Non so se sia giusto dire – sottolinea Mangia – che in Italia siamo indietro. Certo ci sono altre realtà che prendono i dati in grande considerazione. Io sono stato in Olanda: l'Ajax, ad esempio, ha una struttura che prescinde dall'allenatore. Il dato fine a se stesso ha una sua importanza, ma non è determinante. A me non interessa la tabella dei numeri. Voglio che chi si occupa di analizzarla, e qui sta alle professionalità interne allo staff, aggiunga un'interpretazione utile». Filippo Lorenzon è il suo analista. Poco più che trentenne, non pensa che l'approccio ai numeri sia un problema generazionale. Negli uomini di calcio meno giovani nota più curiosità che diffidenza: «Credo che chi sia contrario a priori non abbia conoscenze specifiche, ma lo dica un po' a naso». Faccendini conferma che in Italia il metodo di lavoro dipende dalle scelte dei singoli: «Le statistiche sono viste come il capriccio di un allenatore, qualcosa di cui si può fare a meno, a differenza dell'Inghilterra. Se Pellegrini viene esonerato dal Manchester City, non è che mandano via anche gli undici analisti».

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