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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2014 alle ore 18:49.
L'ultima modifica è del 13 maggio 2014 alle ore 21:05.

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Tim GiethnerTim Giethner

New York - Una crisi con tanti stress, nazionali e internazionali. Che hanno scatenato non solo polemiche tra oppositori politici, ma anche battaglie dentro la stessa amministrazione americana e il partito democratico del presidente Barack Obama. Parola di Tim Giethner, che di quei giorni bui è stato un testimone privilegiato dalla poltrona di Segretario al Tesoro.

Nelle pagine del suo libro di memorie sulla debacle economica e finanziaria globale seguita al 2008 - intitolato appropriatamente Stress Test - Geithner si toglie più un sassolino dalle scomode scarpe che, come plenipotenziario economico dell'amministrazione statunitense, ha indossato per anni. L'ex Ministro, nonché prima di allora governatore della Federal Reserve di New York, è oggi passato al settore privato, alla società di private equity Warburg Pincus. Ma i momenti indelebili della sua carriera sono stati quelli passati al governo. Una carriera che mostra come il quasi collasso dell'economia statunitense e internazionale colse spesso impreparate autorità e legislatori, spingendoli ad agire a volte a tentoni, spesso senza piani sicuri o del tutto formulati e sempre tra differenze di opinioni e di personalità.

Geithner rivela che ai vertici del governo e dei regulator americani la decisione di lasciar fallire Lehman Brothers fu tutt'altro che scontata: le divergenze non mancarono, con lui stesso inizialmente contrario e preoccupato che la scelta di non salvare la banca d'investimento - ma di salvare invece l'assicurazione AIG - fosse dettata anzitutto da preoccupazioni politiche, di non apparire troppo a fianco di Wall Street. L'esistenza di una ipotesi di salvataggio alle spalle, sostenne allora, avrebbe potuto facilitare una cessione di Lehman evitando il crack.

Altri nodi vennero al pettine. Geithner mette in luce come il suo debutto pubblico fu disastroso, vittima di un deficit di "gravitas" personale, di inadeguati preparativi e di errori tecnici. Cinque anni or sono, nel febbraio del 2009, fu chiamato al primo grande discorso per annunciare una risposta coerente dell'amministrazione Obama sulla crisi bancaria. Il problema, dice Geithner, era che un piano vero e proprio ancora mancava e che fu costretto a tenere assieme due priorita' contrastanti: evitare crolli di istituti che generassero contagi generalizzati e allo stesso tempo esorcizzare lo spettro di curarsi solo di Wall Street. Una schizofrenia - sommata alla visibile inesperienza con il teleprompter e le telecamere - che vide il Dow Jones perdere 500 punti subito dopo il confuso discorso. Per la successiva intervista televisiva, la sua prima di quel genere, Geithner non si era neppure preparato.
Le tensioni interne e esterne continuarono anche dopo. La relazione con il suo "padrino" Larry Summers, eventualmente emarginato dall'amministrazione e snobbato per la poltrona di chairman della Fed, fu complessa. Summers spingeva per minacciare la nazionalizzazione di fatto di alcune banche in crisi, strada respinta da Geithner.

Altrettanto complicato fu il rapporto con l'influente responsabile della Fdic, l'ente per l'assicurazione dei depositi bancari, Sheila Bair: lei prese l'iniziativa di proporre una bad bank per risanare i bilanci della finanza scontrandosi con Geithner. Per non parlare di critici liberal dell'amministrazione e delle sue strategie, dal Tarp ad altri strumenti per aiutare il sistema finanziario. Tra loro Elizabeth Warren, oggi senatore del Massachusetts e allora incaricata dal Congresso della supervisione sui soccorsi. Geithner critica le sue audizioni come "fatte per YouTube", non per serie discussioni. Piu' duro ancora e' con l'ispettore generale del Tarp Neil Barofsky, accusato esplicitamente di ignoranza finanziaria.

Duri screzi affiorarono anche con l'opposizione repubblicana. Geithner sostiene che il consigliere economico di Mitt Romney, Glenn Hubbard, ammise in privato che i conservatori avrebbero dovuto alzare le tasse ma che non potevano ammetterlo per non irritare la loro base, una versione smentita pero' dal diretto interessato. Il senatore Mark Kirk dell'Illinois, considerato un moderato, scateno' invece le ire e le telefonate del Segretario al Tesoro durante una visita in Cina, quando affermo' che il debito americano era a rischio di default. Geithner lo accuso' di "danneggiare gli interessi nazionali".
Le sfide internazionali non sono a loro volta mancate. Geithner mette in luce le resistenze iniziali della Germania a interventi anti-crisi più aggressivi, invocati dagli americani.

Parla invece dei proficui contatti avuti con Mario Draghi alla Bce per arginare i rischi nell'Eurozona. E rivela che funzionari europei, in occasione di un vertice G20 nel 2011 a Cannes, chiesero al presidente Obama di scendere in campo a sostegno di sforzi per facilitare una uscita di scena del premier italiano Silvio Berlusconi. La strategia, nel racconto dell'ex Segretario al Tesoro americano, passava per la resistenza ad aiuti del Fondo Monetario Internazionale finché Berlusconi fosse rimasto in carica. Una mossa alla quale Geithner si oppose con una frase colorita: "Non possiamo macchiarci le mani con il suo sangue".

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