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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2014 alle ore 20:51.
L'ultima modifica è del 15 maggio 2014 alle ore 20:55.

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Film «Non dico altro»Film «Non dico altro»

Tante le uscite nelle sale – alcune dovute al fatto che si vuole sfruttare il "lancio" di un festival come Cannes -, ma anche questa settimana alla quantità non corrisponde altrettanto qualità. Deludono i più attesi: Grace di Monaco sembra, nei momenti migliori, una puntata di uno sceneggiato televisivo mediocre, Godzilla solletica gli appassionati ma è fondamentalmente molto noioso e macchinoso. Jim Jarmusch si fa sedurre dai vampiri e racconta una coppia ultracentenaria che affascina ma non ci conquista in Solo gli amanti sopravvivono. E ancora la bella storia di Più buio di mezzanotte, selezionata alla Settimana della Critica di Cannes, non riesce a dipanarsi come dovrebbe: non aiutano un corpo attoriale disomogeneo e una stilizzazione eccessiva dei personaggi. E allora il meglio arriva dove non te l'aspetti, con il melodramma sentimentale ironico e delicato Non dico altro e il suo ottimo James Gandolfini e da Pinuccio Lovero. Yes I Can, che riporta al cinema Pippo Mezzapesa insieme al personaggio (reale) che aveva portato alla ribalta. Ora il becchino si è montato la testa con il cinema e tenta la scalata della politica. Delizioso.

Partiamo dal lucertolone: Gareth Edwards doveva cimentarsi con lui, di fatto ce lo aveva detto quel gioiello che era Monsters. Ma in quel film i colossi si intuivano, rimanevano nell'ombra, arrivavano alla fine. Qui, invece, sono protagonisti assoluti e così regia e recitazione fanno un passo indietro, lasciandoci con un'opera tanto lunga quanto "media" che aspetta un finale, invece, più che valido. Certo, per gli appassionati lo scontro tra creature enormi e preistoriche che mette in campo il cineasta sarà comunque un grande divertimento, ma si poteva fare molto di più. A partire da un casting migliore: Taylor-Johnson e Elizabeth Olsen, alfieri dell'inespressività, fanno poco e quelli bravi (Strathairn, Watanabe, la Hawkins) persino meno.

Non dovrebbero essere gli interpreti, invece, il problema di Grace di Monaco, fischiato ieri nella proiezione stampa cannense. E questo nonostante il pur svogliato Tim Roth e la botulinica Kidman effettivamente non diano il meglio, tanto da far sembrare un'ottima attrice Paz Vega nella parte di Maria Callas (sic). Il punto sta però tutto in una sceneggiatura bizzarra, in cui ci si prende libertà notevoli nel ritrarre la figura di Grace Kelly per poi piombare sulla Storia con un episodio marginale – la tensione tra De Gaulle e Ranieri per la condizione di paradiso fiscale del Princinpato – gonfiato fino a divenire caso internazionale. Olivier Dahan, che il vizio di non saper dosare i toni ce l'ha da sempre, qui si barcamena tra atmosfere di miseria umana e nobiltà di palazzo, ma spesso all'eleganza e alla malinconia di un mondo troppo formalista sostituisce l'umorismo involontario di dialoghi improbabili.

Non convince, infine, neanche Più buio di mezzanotte, che vorrebbe raccontarci l'infanzia, difficile, di uno dei divi del locale più trasgressivi di Roma. La faccia bella e delicata di Davide Capone è quella di chi, un giorno, sarà una drag queen. Quell'adolescente minuto ed efebico è un punto di partenza interessante che poi, però, si perde nella recitazione mediocre di molti altri comprimari, in una regia ricercata ma mai del tutto fluida e in uno script che fa diventare Catania una sorta di megaquartiere a luci rosse di Amsterdam o Amburgo. Non c'è, infatti, altro che l'universo di Davide nelle strade che vediamo, le macchine della polizia e lo stesso padre, unico omofobo in una provincia in cui nessuno sembra essere eterosessuale, sono una sua appendice narrativa. Si sente la forza dell'idea, ma anche la debolezza della realizzazione per tutta la durata del film, anche se la scena in autobus del piccolo protagonista con Micaela Ramazzotti, il viso di lei che ci lacera il cuore con pochissimi movimenti, vale il biglietto.

Anche con un maestro come Jim Jarmusch, nel caso di Solo gli amanti sopravvivono, ci si accontenta di qualche momento dei suoi. E di vampiri eterni e di ottimi gusti artistici, supersnob per quegli anni che danno loro charme ed esperienza, come Tilda Swinton e Tom Hiddleston. Sono loro che danno una certa forza al film, quasi riuscendo a essere credibili in un ruolo che per sua definizione non lo è, quello del succhiasangue "buono". Ma il punto è che le leziosità registiche e i virtuosismi interpretativi, la bella fotografia e i pur buoni comprimari, non bastano a tener in piedi un lungometraggio troppo esile nello sviluppo e nella sostanza e che troppo deve a Intervista con il vampiro. Così, quindi, rimane solo un esercizio di stile con un paio di scene di alto livello.

Dulcis in fundo, non possimo dimenticare i due promossi della settimana. Davvero riuscito Pinuccio Lovero, Yes I Can. Pippo Mezzapesa si gode quel personaggio bizzarro che voleva fare il becchino e ora aspira a un seggio in Comune, e lo fa con l'intuito dell'autore di livello, di chi sa osservare davvero chi e cosa ha di fronte. Non è un film sulla politica né un sequel del ritratto che fece in Sogno di una morte di mezz'estate e che diede la pericolosa notorietà di cui Pinuccio cerca di abusare. Non c'è retorica né paternalismo, c'è ironia ma mai derisione: il regista sa guardare senza giudicare, sa sorridere senza prendere in giro. E finiamo tutti per voler bene a quell'uomo che porta con leggerezza tutte le nostre debolezze. E Mezzapesa lo sa. Può sembrare un film piccolo, ma è un vero gioiello.

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