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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2014 alle ore 08:16.

E significa, infine, ascoltare le testimonianze di altri commessi che ti raccontano che nella storia recente di Palazzo Chigi non era mai successo che ci volessero più di due mesi per scegliere i capi di dipartimento, i capi di gabinetto, i capi ufficio stampa, i capi dell'ufficio legislativo (e il risultato è che fino a metà maggio gran parte delle stanze di Palazzo Chigi erano vuote; in assenza di capi di gabinetto il ruolo pro tempore di chief of staff lo riveste Lotti, in assenza di un ufficio stampa ufficiale è il capo ufficio stampa del Pd a seguire la comunicazione di Renzi, ovvero Filippo Sensi, e a Sensi capita spesso di dover discutere in portineria per avere un badge provvisorio per entrare a Palazzo Chigi, «Scusi, Sensi chi?», e in assenza di personale intermedio capita anche che componendo a tarda sera il numero del centralino di Palazzo Chigi, 06 67791, siano i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio a rispondere al posto dell'ufficio stampa o delle segretarie). Passeggiare a Palazzo Chigi di questi tempi significa tutto questo. E significa anche arrivare a Piazza Colonna, prendere l'ascensore, salire al primo piano, infilarsi nella Galleria Deti e incontrare Renzi che mentre si mette in posa per uno shooting per il Time si sente dire dal fotografo del settimanale: «Signor presidente, le consiglierei di non farsi fotografare con quella posa di fronte alla finestra: è la stessa posizione che scelse Berlusconi quando fece il servizio con noi». Significa anche incrociare Renzi che mentre pesca alcune fette di roast-beef in mezzo agli evidenziatori sparpagliati sulla sua scrivania passa il tempo a confrontarsi con Sensi imitando un suo famoso predecessore con i baffi: questa cosa non la facciamo, diciamo; questa intervista la rimandiamo, diciamo: questa agenzia la lanciamo, diciamo. Passeggiare a Palazzo Chigi di questi tempi, infine, significa origliare anche alcune telefonate del presidente del Consiglio che almeno un paio di volte al mese, prima degli appuntamenti importanti, quando non si lamenta per la panzetta, per l'assenza di wi-fi nelle stanze di governo, per la sua vita monastica, per avere spunti, idee, chiavi di interpretazione, suggerimenti narrativi, chiede una mano a un gruppo di scrittori amici, a un team di narratori, capitanato da Alessandro Baricco (la stanza di Renzi, primo piano, affaccio sul cortile, è la stessa di Letta, e l'unica modifica rispetto allo studiolo usato dall'ex premier è il quadro in bianco e nero di Giorgio La Pira poggiato all'ingresso della sala, su un comodino di legno, dove invece Letta aveva poggiato un acquerello raffigurante una Vespa regalatogli dal giornalista di La7 Andrea Pancani).

In questo gioco di specchi, triangolazioni, cene informali, riunioni descamisade (anche con Manuel Valls, premier francese), iniziative improvvisate, Def messi a punto con abiti non proprio da cerimonia, giornalisti che provano in tutti i modi a essere ricevuti a Palazzo dal principe (su tutti Claudio Tito, capo del politico di Repubblica, unico giornalista del quotidiano di Ezio Mauro ad avere un rapporto continuativo con Renzi; a seguire Mario Calabresi, che a Palazzo Chigi è di casa, e lo era anche con Berlusconi, con Monti e con Letta, e lo è anche oggi con Renzi, e non sempre si presenta a Piazza Colonna con i Google Glass; infine, Aldo Cazzulo, unico giornalista del Corriere della Sera insieme con Maria Teresa Meli ad avere un filo diretto con il presidente del Consiglio, e avvistato con una certa frequenza sotto Palazzo Chigi con il telefonino in mano per chiedere disperatamente a Filippo Sensi o a Marco Agnoletti, ex portavoce fiorentino di Renzi, oggi di Dario Nardella, uno spazio per essere ricevuto dal premier e scrivere il libro Magari con il segretario del Pd.
In questo clima, si diceva, nella famiglia renziana, all'interno dello spogliatoio – tra un salame, una partita della Fiore, una pizza con Guerini, un giro sulla cyclette – i due uomini del presidente che nella loro quotidianità vengono osservati con più curiosità sono Delrio e Lotti. Il primo, ex sindaco di Reggio Emilia, ex capo dell'Anci, rappresenta la traduzione simultanea in provvedimenti legislativi dei fuochi d'artificio del renzismo ed è l'unico politico estraneo al giro fiorentino a cui Renzi ha concesso l'ingresso nel cerchio magico. Il secondo, deputato, responsabile organizzazione del Pd, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio (è lui che ha convinto Renzi ad assumere come capo dell'ufficio legislativo di Palazzo Chigi l'ex capo dei Vigili urbani di Firenze Antonella Manzione), è l'uomo che spesso ha il compito di dimostrare, con tutti i mezzi e le risorse a disposizione, che anche le idee più stravangati di Renzi sono fattibili, che basta la volontà politica, e che tutto si può fare, e che palle questi tecnicismi.

Non sempre però Lotti e Delrio viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda e su alcune partite importanti (vedi il capitolo delle nomine degli enti pubblici, vedi il capitolo delle nomine dei sottosegretari) a Palazzo Chigi in molti hanno notato che a parte la differenza di età – 32 anni il primo, 54 anni il secondo – la distanza tra i due non è solo fisica (Lotti si trova nella stanza accanto all'ufficio di Renzi, Delrio è dalla parte opposta del Palazzo), ma è legata anche alle diverse provenienze culturali. E come è naturale che sia, non sempre il mondo toscano e ultra renziano rappresentato da Lotti si è trovato in profonda sintonia con il mondo emiliano e molto legato all'Anci del sottosegretario Delrio. E a mediare tra Lotti e Delrio, quando le circostanze lo consentono, sono Stefano Bonaccini (responsabile enti locali Pd) e Lorenzo Guerini (vicesegretario).

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