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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 10:18.

Hans Küng durante una lectio nella sua universitàHans Küng durante una lectio nella sua università

Joseph Ratzinger mi ha testimoniato ancora, nelle sue memorie pubblicate in Germania nel 1998, «la simpatica apertura e la schiettezza» e «un buon rapporto personale» nel nostro periodo tubinghese: «Devo dire che in quel momento mi sentivo più vicino al suo lavoro che a quello di J. B. Metz, che proprio su mio consiglio era stato chiamato alla cattedra di Teologia fondamentale di Münster». Il congedo di Joseph Ratzinger da Tubinga, per me, resta comunque legato a un mistero. Il 26 ottobre 1969, ormai già professore a Ratisbona, offre una bella cena di commiato alla sua vecchia facoltà all'hotel Krone di Tubinga.

La serata, nel corso della quale ringrazia anche me di persona per la proficua collaborazione, trascorre nella migliore delle atmosfere. Solo molti anni dopo leggo un resoconto del filosofo e traduttore cattolico ceco Karel Floss (senatore dopo la svolta del 1989). Floss si è sempre molto interessato alla teologia e alla Chiesa e io l'ho sempre apprezzato. È rimasto in contatto con me e altri teologi occidentali anche al tempo del regime comunista, e io gli ho inviato molti libri. A fine luglio o inizio agosto 1969, Floss fa visita a Joseph Ratzinger a Tubinga, il quale lo accoglie con cordialità, ma lo affida ben presto al suo assistente Martin Trimpe, che trascorre con lui la serata. Poco dopo mezzanotte, su un belvedere sulla Tubinga notturna, secondo il racconto di Floss ha luogo una conversazione enigmatica nella quale Trimpe gli comunica che la cooperazione tra Ratzinger e Küng era finita. Dovevano separarsi per motivi salutari a entrambi.

Visto che non si poteva continuare a lavorare con un uomo come Küng, Ratzinger e i suoi collaboratori non dovevano inselvatichirsi del tutto. Küng si faceva sempre più notare come abile giornalista di cui di lì a venti o trent'anni nessuno avrebbe saputo più nulla. Floss chiede a Trimpe dove vuole arrivare e questi risponde che Ratzinger sarebbe andato a Regensburg, dove il vescovo Graber intendeva fornirgli tutto il necessario per continuare a lavorare in totale tranquillità. Per Floss è il secondo shock della serata, poiché sapeva che presso Graber avevano cercato asilo tutte quelle forze conservatrici che anche in Cecoslovacchia erano intimorite dalle conseguenze del Concilio e che si opponevano in particolare alla rinuncia al tomismo rigoroso. Fin qui il resoconto di Karel Floss, che di recente mi ha completamente confermato in una lettera: «Ogni parola di quella notte tubinghese è profondamente impressa nella mia anima» (31 maggio 2006).

Ora, io sono certo l'ultimo che metterebbe sul bilancino le asserzioni di mezzanotte di un assistente sul suo professore. E non ho mai preso sul serio l'accusa di «giornalismo», che peraltro viene perlopiù da colleghi a cui piacerebbe scrivere meglio ed essere più letti, ma manca o l'ingegno o la capacità stilistica. Ratzinger aveva curato insieme a me l'edizione del mio voluminoso libro La Chiesa, pubblicato due anni prima nella nostra collana «Ricerche ecumeniche» (edizioni Herder) e in genere salutato come un onesto lavoro scientifico. Quale debba essere il mio influsso «inselvatichente» sui più stretti collaboratori di Ratzinger non lo so e non è mai stato oggetto della mia curiosità. E per quanto riguarda infine l'impossibilità di un'ulteriore cooperazione tra Ratzinger e me, l'assistente può aver esagerato o registrato appieno la persona del suo maestro.

L'unica certezza è che Ratzinger se n'è andato da Tubinga, dove scientificamente si è senza dubbio in prima linea, per ritirarsi nella (teologicamente) obbediente Ratisbona e nella provincia del vescovo tedesco più reazionario, rappresentante del marianesimo e del curialismo. Ma sono venuto a conoscenza di questa conversazione solo anni dopo.
E ci si deve già porre la domanda che pone un altro testimone dell'epoca, quel Hermann Häring che sarà presto promosso dottore in teologia, e diventerà mio assistente nel nostro Istituto per la ricerca ecumenica, e che nel 1980 diventerà professore di teologia dogmatica all'Università di Nimega come successore di Edward Schillebeeckx. Attraverso argute pubblicazioni si è rivelato il miglior conoscitore e interprete critico della teologia di Ratzinger. Häring crede che io mi sia enormemente sbagliato sul suo conto. Non solo Ratzinger non avrebbe preso coscienza del fatto che riguardo alle rivolte studentesche stavo fondamentalmente dalla sua parte. Si sarebbe anche chiaramente già differenziato da me soprattutto nell'interpretazione del Vaticano II.

Invero, nel 1968 ha sottoscritto la «Dichiarazione per la libertà della teologia», essenzialmente elaborata da me, alla quale si sono infine associati 1.322 teologi e teologhe in tutto il mondo. Lo stesso ha fatto, nel 1969, con una dichiarazione tubinghese per l'elezione dei vescovi e la limitazione del loro ministero, elaborata non da me bensì dal canonista Neumann e da altri colleghi. Appena lasciata Tubinga, tuttavia, Ratzinger ritira la firma da questa seconda dichiarazione. L'aveva apposta, pare, sotto la pressione dei colleghi. Si vedeva già vescovo? Certo non poteva presagire che a un'età in cui tutti gli altri vescovi della Chiesa cattolica devono aver rassegnato le proprie dimissioni sarebbe stato eletto vescovo di Roma, l'unico (finora) non vincolato a limiti d'età. A ogni modo, di una cosa ero consapevole sin dall'inizio del nostro comune periodo a Tubinga: lui ha la cattedra di Teologia dogmatica e storia dei dogmi, io quella di Teologia dogmatica ed ecumenica.

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