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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 10:18.

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Hans Küng durante una lectio nella sua universitàHans Küng durante una lectio nella sua università

Ci occupiamo entrambi di teologia dogmatica ma muoviamo da uno sfondo diverso: Ratzinger dal Medioevo latino (Agostino-Bonaventura), io dal Medioevo (Tommaso d'Aquino), ma altrettanto dalla Riforma (Lutero), dall'epoca moderna (Hegel) e dall'epoca postmoderna (Barth). La mia speranza era che noi non solo ci completassimo, ma imparassimo anche l'uno dall'altro; che, come io ero interessato alla teologia dei Padri della Chiesa e del Medioevo, anche lui lo fosse alla teologia dei Riformatori e all'odierna esegesi storico-critica. In fondo dovevamo e volevamo entrambi avvicinare il messaggio cristiano agli uomini d'oggi, che pure secondo lui non vivono più spiritualmente e religiosamente nel Medioevo. Sono infatti convinto (e ricordo la citata conversazione con un'ebrea svizzera a Gerusalemme) che si possa sviluppare la cristologia non solo «dall'alto», dall'incarnazione del Figlio di Dio, ma anche «dal basso», dall'uomo Gesù di Nazaret. Così l'hanno colto i suoi discepoli e così lo possiamo comprendere noi oggi, per poi andare più a fondo e domandarci: «Chi è dunque costui?».

Sì, sono stato felice quando Joseph Ratzinger, nel 1968 o nel 1969, durante una lunga conversazione nella mia auto, ha concordato sulla possibilità in linea di massima di una cristologia «dal basso». Proprio qui, tuttavia, suppone Häring, mi sarei sbagliato. Presumibilmente Ratzinger ha pensato che l'esperimento dimostrasse già il fallimento del concetto di una cristologia «dal basso» di questo concetto. Infatti mi spavento quando vedo davanti a me il suo libro Introduzione al cristianesimo: è il corso che aveva tenuto nel semestre estivo del 1967, nel gremito e attento auditorium maximum. Come allora, non solo vede alcuni articoli di fede in una cornice veteroecclesiastico-medievale, ma non accetta neanche la ricerca contemporanea su Gesù, anzi ne fa la caricatura fino a renderla irriconoscibile, e perciò fa un torto profondo a esegeti del calibro di Bultmann o Käsemann, pur senza nominarli.

Lui, che è capace di pensiero preciso e rigoroso, scrive qui in una maniera indistinta, che rivela un profondo condizionamento emotivo. Io stesso avevo dovuto rappresentare già nel mio libro La Chiesa, contro il mio progetto originario, l'annuncio del Regno di Dio attraverso il Gesù storico, e ho ridisegnato tale annuncio da una parte a partire da Bultmann e dall'altra dall'esegeta cattolico (veramente ortodosso) Rudolf Schnackenburg, rilevando una congruenza essenziale tra i due. Come può Ratzinger, mi sono chiesto già allora, incaponirsi così in controsensi e illazioni nell'interpretazione del Nuovo Testamento? A posteriori ciò mi è più chiaro: il nostro rapporto con la Bibbia era molto diverso.

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