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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 06:53.

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Ogni persona, in base al vestiario e a certi modi di camminare, è cittadina di una delle due, ed è costretta a rimuovere dalla propria consapevolezza tutto ciò che nel suo campo visivo e sonoro appartiene all'altra, facendo finta che non esistesse. Non farlo – parlare, ad esempio, con una persona che si trova fisicamente accanto a te ma istituzionalmente in un altro stato – significa incorrere nella punizione della Breccia, una polizia dall'operato segreto e inappellabile. Per cambiare città occorre recarsi alla Copula, che è una frontiera rotonda e l'unico luogo condiviso ufficialmente da Beszél e Ul Qoma; sbrigate le formalità, ci si volta di 180 gradi e si torna, per lo stesso corridoio da cui si è arrivati, in un altro stato.

Fantalinguistica
Embassytown, invece, è un romanzo di fantascienza più tradizionale; parla di un pianeta in cui l'umanità convive con una specie, gli Ariekei, che parla una lingua che non contempla la menzogna. La parola non è rappresentazione del pensiero ma del mondo, e quindi qualunque falsità apparirà in quella lingua come priva di senso. Il romanzo è la storia di Avice, una donna che nell'infanzia è stata protagonista di una similitudine: la messinscena effettiva di una metafora, che così sarà resa vera e quindi potrà essere usata nella lingua degli Ariekei. Con ciò Avice entra letteralmente nel linguaggio alieno, e ciò che esprime – una forma di accettazione rassegnata, un sorriso abbozzato – finirà per farle avere un ruolo cruciale in una rivoluzione prima linguistica e poi politica nella società stessa degli Ariekei. The city & the city – incentrato su un'apparentemente normale inchiesta per omicidio a Beszél che finirà per svolgersi in entrambe le città, implicando le autorità a guardia del confine – è straordinario nella misura in cui è ordinarissimo. È chiaramente un romanzo di fantascienza – per la realtà parallela dell'ambientazione, per le chiare implicazioni metaforiche di carattere politico e sociale – eppure non ci sono spade laser, né astronavi: l'unica cosa che lo distacca dalla realtà è un'innovazione istituzionale. Più che di fantascienza, è un libro di fanta-giurisprudenza.Embassytown, sì, ha gli alieni: ma la riflessione metalinguistica ha un ruolo tanto cruciale, all'interno della trama, che spesso ci si scorda che si parla di altri pianeti (tranne quando, chessò, si parla di creature alate che esplodono) e ci si concentra sulla misura in cui la storia, metaforicamente, parla di noi. Che è ciò che fa, più che la fantascienza, la letteratura in generale.

«Non sono comunista»
Ma che cos'è la "fantascienza"? La parola evoca astronavi e spade laser, e sembra riferirsi ai contenuti dei libri; ma uno sguardo anche solo frettoloso sul genere (che include Verne e Asimov, Poe e LeGuin) mostra una variabilità di contenuti che rende difficile capire di cosa stiamo parlando. Potrebbe essere più interessante pensare alla fantascienza in base alla fratellanza particolare che la lega alla critica sociale, all'utopismo, persino a una certa forma di spinta rivoluzionaria. Il tratto definitorio del genere, più che la tecnologia, potrebbe essere la possibilità di inventare una struttura sociale radicalmente diversa da quella attuale. Questo fa della fantascienza un ottimo modo di ragionare, amplificandoli, su certi tratti del mondo contemporaneo – che è ciò che facevano sia Isaac Asimov che Ayn Rand, che probabilmente hanno passato la vita a odiarsi. È anche ciò che fa China Miéville, che in The City & The City parla di mondi che convivono senza vedersi (l'1% e il 99?) e in Embassytown del potere politico del controllo del linguaggio.

Già: ma descriverli così fa sembrare questi libri noiosi – dei pamphlet con dentro i mostri, dei saggi camuffati. Ma sono tutt'altro: e la loro forza – e la forza di tutta la fantascienza "impegnata", in fondo, a cominciare dalla trilogia della fondazione di Isaac Asimov – è proprio che la potenza trascinante dell'intreccio, dell'invenzione fantastica, delle scene d'azione (!!) è tale da far passare quasi inosservata la complessità politica o teorica delle idee di sottofondo, che vengono accettate come le descrizioni delle astronavi o dei paesaggi marziani, come un elemento necessario alla trama. «Non sono un comunista che cerca di contrabbandare il suo malefico messaggio col mezzo nefasto di un romanzo», ha dichiarato in un'intervista Miéville, che – non sorprende – ha anche scritto un gioco di ruolo. «Sono un nerd della fantascienza e del fantasy. E non scrivo per prendere una posizione politica, ma perché amo i mostri e le storie strane. (…) Dato che vengo da una prospettiva politica, i mondi che creo incorporano molte delle mie preoccupazioni. Ma non lascio mai che queste tolgano spazio ai mostri». Sarà un pianeta rosso, ma è pur sempre Marte.

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