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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2014 alle ore 07:52.

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Una gioia selvaggia e inesprimibile inondò il cuore di Giovanni. E sebbene il portabastoni lo guardasse con sottile compatimento, perché sapeva benissimo che quello era un caso, un puro e semplice caso, per un istante l’ignaro si illuse di aver tirato un colpo secondo tutte le regole: segno evidente – pensò – che aveva sortito da natura eccezionali doti golfistiche.

Era bambinesca illusione, non c’era dubbio, ma è proprio con queste astuzie che il golf riesce a sedurre gli estranei, a stregarli, a inoculare l’inguaribile malattia. Se non adoperasse simili fraudolenti sistemi, troppa gente, dopo le prime prove, si ritirerebbe scoraggiata.

TEMPI DIFFICILI Quel giorno l’ignaro, intendiamoci bene, non aveva nemmeno potuto intravedere un barlume del meraviglioso mondo del golf, eppure la benda gli era già caduta dagli occhi.

Lo si vide da allora aggirarsi per le immacolate praterie verde-pisello all’inseguimento di una pallina poco disciplinata. Nei primi giorni, a dire il vero, tutto lasciava sperare per il meglio; gli stessi maestri (per abitudine essi non sono avari di incoraggiamenti) diagnosticavano in lui rare disposizioni. Due colpi su tre almeno riuscivano splendidi. In un paio di mesi – Giovanni progettava – avrebbe potuto magari cimentarsi in una gara. L’insano! Le vacche magre erano ancora da cominciare.

Difatti, dopo la fase primissima, Giovanni si accorse che nelle palline si faceva strada un deplorevole spirito di indipendenza: andavano sempre dove volevano loro, cioè balzavano a destra e sinistra, rintanandosi nel bosco, donde uscivano come razzi, spaventatissime, intere famiglie di conigli selvatici.

Il volto di Giovanni si faceva terreo. Assetato di riscossa, mettendoci tutte le energie disponibili, quasi avesse dovuto abbattere un drago, si metteva a sferrare colpi sempre più disperati, e zolle sempre più voluminose si sollevavano pesantemente da terra come rospi, ricadendo a pochi metri insieme con la maledetta pallina.

Si fermava ogni tanto a tergersi il sudore. Anche lui si rendeva conto che una ventina di giocatori come lui sarebbero bastati a trasformare le levigate praterie in campo di battaglia e che un bel giorno il presidente del Circolo, con un diplomatico sorriso, gli avrebbe fatto presente come il sodalizio, se avesse avuto intenzione di dissodare il campo, sarebbe ricorso preferibilmente ad un aratro meccanico (ce ne sono oggi di veramente ottimi) piuttosto che approfittare delle sue solitarie fatiche.

IL COLONNELLO BOGEY Il colonnello Bogey, buon’anima, è una figura immortale e riteniamo leggendaria nel mondo golfistico. Il suo gioco era tanto bello e regolare che il suo nome rimase ad indicare il modello-tipo di un ottimo golfista. Di più: avendo lui l’abitudine, così almeno si narra, di non sbagliare mai un colpo, pur non raggiungendo gli estremi vertici della potenza di tiro, si usa ancora oggi chiamare Bogey il numero base di colpi necessari per ogni buca, il punto di partenza per fissare i vantaggi (o handicaps) dei giocatori qualificati.

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