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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2014 alle ore 07:52.

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Altro che snobismo. Nulla, assolutamente nulla è più lontano dalla mente dei veri golfisti quanto le fatue vanità mondane. Può darsi che di tanto in tanto capiti sul campo qualche vero snob, maschio o femmina, che in cuor suo del golf se ne frega altamente, ma ritiene opportuno, per chi sa quale suo prestigio sociale, mantenere periodici contatti con il nobile gioco. Costoro alle volte compaiono, ma per rari e brevissimi assaggi; le stesse magre figure a cui si espongono li sconsigliano a ritornare più spesso.

State pure certi che non insisteranno. Il loro animo è sordo agli incanti del golf, per cui non si spenderanno mai sufficienti elogi. Essi non sanno godere la pura fanciullesca gioia di vedere la propria pallina guizzar via come rondine, in un bel mattino d’estate, fra le austere cortine dei boschi risonanti di uccelli, e sparire lontano entro il limpido cielo; e di sapere che adesso è là che ci aspetta, duecento metri più avanti, appollaiata sopra un ciuffetto d’erba, tutta soddisfatta di avere terrorizzato un ramarro che stava assopendosi al sole.

UMANITÀ DEL GOLF Il gusto di lanciare più o meno lungo e diritto la pallina, di impiegare quattro colpi anziché otto a fare una buca, non basta assolutamente a spiegare il profondo fascino di questo gioco, la sua riconosciuta bellezza e complessiva nobiltà. Ci deve essere un elemento nascosto ad alimentare il suo inesauribile interesse, un motivo fondo ed umano che rende intelligente e degno ciò che a prima vista potrebbe sembrare un trastullo da perditempo, un motivo di cui i giocatori in genere non si rendono conto, pur subendone il potente influsso.

E il motivo è questo: il golf (come in diversi ambienti altri sport quali l’alpinismo, lo sci, la vela, la canoa fluviale, la caccia e la pesca) permette un diretto e intimo contatto con la natura.

La gente che vive in città, a lungo andare ha finito per dimenticare che cosa sia veramente un prato, un bosco, un cespuglio selvatico; non sa più quale sia il silenzio della campagna, la sua vita segreta, le sue mille misteriose voci. Fra uomo e natura si è creato un profondo distacco che una distratta passeggiata domenicale in un parco non basta certo a colmare.

Ora il golfista, inoltrandosi negli agresti meandri del campo, incontra e ricomincia ad amare tutte quelle cose dimenticate. Ed è proprio la pallina, senza che lui se ne accorga, intermediaria di questo ritrovamento. Attraverso le vicissitudini della piccola sfera bianca, così strettamente legate alla nostra vanità sportiva, ci si rivela lentamente l’intimo poetico mondo della campagna, miniera da tanti anni abbandonata.

La specie dell’erba, se più o meno ruvida o irsuta o secca, la pendenza del prato dove bisogna mettersi in posizione, il ramo d’albero che ostacola il prossimo tiro, lo sterpo secco che bisogna tener sollevato per poter dare il colpo, l’acqua del ruscello dove è scomparsa la pallina, le foglie morte, i muschi, le macerie vegetali del sottobosco che l’occhio perlustra pazientemente per ritrovare il bianco proiettile uscito di pista, le infossature dei banchi di sabbia, il vento che devia la traiettoria, il sole che stampa qua e là ombre irritanti, la improvvisa pioggia, la nuvola che ci passa sopra: tutti questi elementi da cui dipende la bontà del punteggio e che per un cittadino non hanno di solito il minimo interesse, assumono improvvisamente una smisurata importanza. Tra loro e noi si stabiliscono a volta a volta rapporti di alleanza o inimicizia. E così, sia pure involontariamente, si ritorna un po’ nel cuore della verde natura, madre nostra, si ritrovano le fresche sensazioni di quando eravamo bambini e un angolo di prato, un albero, un fiumiciattolo erano i romanzeschi compagni delle nostre favolose avventure.

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