Cultura-Domenica Cinema«My italian secret»: Bartali fra gli eroi italiani che salvarono gli ebrei
«My italian secret»: Bartali fra gli eroi italiani che salvarono gli ebrei
17 ottobre 2014
Roma ha ricordato ieri uno degli episodi più tragici della sua storia, la deportazione degli ebrei dal Ghetto il 16 ottobre 1943. Come evento speciale del Festival Internazionale del Film di Roma è stato proiettato il film-documentario `My Italian Secret - gli eroi dimenticati´ di Oren Jacoby, con la voce narrante di Isabella Rossellini. La pellicola racconta la storia del ciclista Gino Bartali, del medico Giovanni Borromeo e di altri italiani che lavorarono segretamente per salvare ebrei e fuggiaschi dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Il dottor Borromeo, per esempio, inventò una malattia inesistente per spaventare le Ss e tenerle lontane dall'ospedale sull'isola Tiberina in cui nascondeva gli ebrei.
Festival del Film di Roma: non solo commedia (Guarda il video)
Le storie dei sopravvissuti per scoprire gli “Schindler italiani”
“My Italian Secret” segue il ritorno in Italia dei sopravvissuti che raccontano le loro storie e ringraziano le persone che offrirono la loro vita per salvare degli sconosciuti. L'idea del film «mi è venuta dopo aver letto un articolo del Wall Street Journal nel 1993 in cui si parlava dei migliaia di “Schindler italiani”, che avevano nascosto e salvato gli ebrei », ha spiegato il produttore esecutivo e finanziatore del progetto Joseph Perella. « Da italo-americano ho pensato fosse necessario raccontare questi eroi prima che non ci fossero più testimoni'», ha detto Perella. Perella ha coinvolto nel progetto il documentarista Oren Jacoby, candidato all'Oscar nel 2005, per “Sister Rose's Passion”. «Mentre nel resto d'Europa l'80% degli ebrei non è sopravvissuto, qui l'80% si è salvato. Credo che gli italiani abbiano reagito diversamente per il loro spirito, il loro individualismo e la loro generosità», ha sottolineato Jacoby.
Bartali trasportava documenti nella canna della bicicletta
Fra le storie nel film, c'è anche quella del campione di ciclismo Gino Bartali che ha contribuito alla salvezza di centinaia di persone, trasportando nella canna della sua bicicletta i documenti falsi che avrebbero permesso loro di scappare. A raccontare l'impegno di Bartali (che non ha mai voluto parlarne, perché come ripeteva «il bene si fa ma non si dice'») nel documentario c'è il figlio ottantenne del ciclista, Andrea Bartali, che ieri, a Roma, probabilmente per la stanchezza e l'emozione, ha avuto un malore dal quale si è rapidamente ripreso. «Chiamandosi Bartali - racconta il figlio Andrea - era naturale che lo vedessero in giro, perché pensavano che si stesse allenando. E quindi, anche se lo fermavano, sia la polizia italiana che la Gestapo, lo facevano per chiedergli delle curiosità sul ciclismo: non immaginavano certo che lui, nella canna della sua bicicletta, nascondesse dei documenti falsi, altrimenti sarebbe stato fucilato sul posto». (N.Co.)