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Da Roma Termini passa il treno per il rilancio del nostro cinema

Bartolomeo Pampaloni (Ansa)Bartolomeo Pampaloni (Ansa)

E se il cinema italiano avesse trovato nella docu-fiction la via per la sua svolta? È il piacevole dubbio che ci accompagna durante e dopo la visione di Roma Termini, presentata ieri nella sezione Prospettive Italia. Un viaggio nella principale stazione della capitale. Una città nella città abitata da un esercito di 480mila viaggiatori in transito ogni giorno e da un manipolo di “residenti” che l'hanno scelta come “dimora”. Ed è proprio su alcuni di loro che si sofferma l'occhio di Bartolomeo Pampaloni. Armato solo di una piccola videocamera digitale il 32enne regista toscano di nascita e parigino d'adozione li segue nella loro quotidianità vissuta ai margini. Mostrandoci le paure, le debolezze, le difficoltà di chi vive ai margini della società.

La stazione è solo un grande catalizzatore di storie e di persone. Tutto ciò che accade sullo schermo si svolge al suo interno o nelle vie limitrofe. Grazie all'uso di luci naturali, a una serie di primi piani e dettagli che non ci risparmiano nulla (incluso un buco nelle vene che fa sembrare quello celebre di Amore tossico una puntata di Er) e a un montaggio funzionale al cento per cento allo sviluppo della storia, per 77 minuti ci immergiamo nelle vite di Gianluca, Stefano, Antonio, Angelo, Salvatore. E di tutte le altre persone che un tetto sulla testa non c'è l'hanno più. I motivi che li hanno portati a finire per strada sono diversi. Così come le ragioni che li obbligano a restarci. Ad accomunarli c'è solo la presenza di un “prima” e di un “dopo”. In mezzo ci sono, a seconda di casi, un divorzio, una separazione, una malattia, una rottura con la famiglia d'origine. Che noi possiamo solo intuire perché l'intenzione di Pampaloni è quella di soffermarsi solo su ciò che accade qui e ora.

Ne viene fuori un'opera dal forte impatto emotivo e dalla spiccata umanità. Un po' documentario è un po' finzione, Roma Termini s'inserisce nel filone già battuto con successo da Tir, che è stato stato premiato qui a Roma l'anno scorso, e da Sacro Gra, che sempre nel 2013 ha trionfato a Venezia. Dando l'ennesima dimostrazione che di storie da raccontare il nostro paese è pieno. E che il problema è solo quello di portarle sullo schermo mantenendone l'originalità e l'efficacia. Ecco allora che utilizzare come attori gli stessi protagonisti della vita reale e ridurre al minimo il ruolo della sceneggiatura può essere una strada. Forse quella giusta per ritrovare un nostro posto nel mondo della cinematografia mondiale.

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