Cultura-Domenica CinemaDopo 17 anni il cinema italiano torna «con successo» alla fantascienza
Dopo 17 anni il cinema italiano torna «con successo» alla fantascienza
di Eugenio Bruno | 23 ottobre 2014
A Lorenzo Sportiello si deve riconoscere una certa dose di coraggio. Per il suo primo lungometraggio il 36enne regista barese sceglie innanzitutto di cimentarsi nella fantascienza. Un genere che il cinema italiano non praticava da 17 anni; l'ultimo era stato Gabriele Salvatores con Nirvana. Per di più decide di girarlo all'estero (in Bulgaria) e in lingua inglese. Dando vita a un mix molto riuscito tra un cast interamente internazionale e un gruppo di maestranze tecniche al cento per cento italiane. Tutti questi ingredienti portano a un'opera prima che, nonostante qualche caduta di ritmo, si rivela di grande spessore.
Un futuro post-apocalittico
Il suo primo punto di forza è l'ambientazione: un futuro post-apocalittico che ricorda molto da vicino quella de La Strada di John Hillcoat. Siamo nel 2035 e gli Stati Uniti d'Europa di cui tanto oggi si parla sono diventati realtà. Per proteggerli è stato eretto un alto muro presidiato da militari e droni, che Kurt (Simon Merells) ed Eva (Ana Ularu) si trovano davanti dopo una lunga traversata in un inquietante deserto post-industriale. I due protagonisti devono superarlo se vogliono dare un futuro al bambino che lei porta in grembo. Con la stessa angoscia e la medesima determinazione di tanti migranti di oggi.
Le regole che governano il nuovo mondo
Un'altra scelta felice del regista è quella di farci scoprire insieme ai due protagonisti quali sono le regole che governano il nuovo mondo. Tutto ruota a un indice di sostenibilità calcolato sul benessere e la produttività personale. Per essere ammessi bisogna avere un valore almeno uguale a zero (l'Index zero del titolo). Kurt è giovane e in salute per cui dopo un periodo di detenzione in un centro che somiglia abbastanza ai nostri Cie potrebbe farcela. Eva invece no. In una società dove ci vaccina contro le gravidanze naturali e la gestazione avviene in uteri artificiali, il semplice fatto che una donna sia incinta diventa una barriera all'ingresso invalicabile.
La ribellione dei due protagonisti
La ribellione dei due protagonisti per non piegarsi alle regole già scritte che ne segue è forse la parte meno riuscita del film. Che smette di spiazzarci e preferisce rifugiarsi nelle regole del genere. Nel bene e nel male. Ma è un peccato veniale, forse dettato dall'inesperienza, che non annacqua l'originalità complessiva dell'opera. E che non impedisce di pensare: ah ce ne fossero di esordi così...