Cultura-Domenica CinemaLast summer, una convincente opera prima che di italiano ha solo il mare
Last summer, una convincente opera prima che di italiano ha solo il mare
di Eugenio Bruno | 17 ottobre 2014

L’apertura di Prospettive Italia è affidata a un film che di italiano ha solo il mare. Oltre al regista (Leonardo Guerra Seràgnoli), che è nato a Roma ma dopo essersi formato negli Stati Uniti ha scelto di vivere a Londra. Un mix di stili, esperienze e culture che si riflettono sullo schermo. E che danno alla sua opera prima prima un respiro internazionale che raramente si trova nel lungometraggio d’esordio dei nostri registi. Grazie anche a un cast esclusivamente straniero, alla scelta dell’inglese come lingua principale e a un paio di aiuti d’eccezione alla sceneggiatura: il fumettista Igort e la scrittrice giapponese Banana Yoshimoto.
Last summer - prodotto da Luigi Musini e Elda Ferri, in collaborazione con Milena Canonero, per Cinemaundici, Jean Vigo Italia ed Essentia con Rai Cinema - colpisce innanzitutto per l’ambientazione: un lussuoso yacht ancorato nelle acque che bagnano la Puglia. Ed è a bordo che si svolge (quasi) l’intera vicenda. Una madre (Naomi, interpretata dalla nipponica Rinko Kikuchi che abbiamo già visto in Babel) ha quattro giorni di tempo per congedarsi dal figlio di sei anni Ken (l’esordiente Ken Brady che buca lo schermo sin dalla prima inquadratura). Dopo una separazione a dir poco conflittuale il bambino è in affidamento esclusivo al padre. Che non vediamo mai ma che cerca comunque di essere presente dando disposizioni ai quattro membri dell’equipaggio. Tra cui spiccano la danese Laura Sophia Bach nel ruolo dell’arcigna hostess Eva e il più comprensivo capitano Alex, nei cui panni c’è Yorick Van Wageningen che ricordiamo in Uomini che odiano le donne.
La fredda e lussuosa imbarcazione di proprietà della famiglia paterna diventa la location per l’ultimo incontro tra madre e figlio. Che in realtà si rivela essere il primo. Lentamente, infatti, i due riacquistano uno spazio in comune. Prima linguistico, attraverso il giapponese che risveglia nel bambino suoni e ricordi della sua prima infanzia; poi fisico. Così come la bonaccia lascia spazio al vento di bolina e nel mare blu di fronte a Otranto la barca può finalmente dispiegare le sue vele, allo stesso modo il broncio di Ken diventa sorriso. E la distanza si trasforma in vicinanza. Con un abbraccio liberatorio che ci lascia presagire un “dopo” ben diverso dal “prima”.
Nonostante qualche piccola caduta di ritmo, Leonardo Guerra Seràgnoli dirige gli eventi con mano ferma e sicura. E adegua lo stile di regia allo sviluppo della storia. I numerosi primi piani, spesso individuali, della prima parte - che sono resi ancora più claustrofobici dall’uso della camera a mano e dal fatto di essere girati sotto coperta - lasciano spazio a dei campi lunghi sul ponte, in cui Naomi e il piccolo Ken compaiono finalmente nella stessa inquadratura. E da cui, anche in questo caso finalmente, esce l’onnipresente babysitter Rebecca (Lucy Griffiths). Il tutto bagnato da un sole ben più forte che apre uno squarcio di luce sul futuro di entrambi.