Cultura-Domenica CinemaSullo schermo scorrono le vene aperte dell'America Latina
Sullo schermo scorrono le vene aperte dell'America Latina
di Eugenio Bruno | 19 ottobre 2014
Afp
Al Festival di Roma c'è spazio anche per le vene aperte dell'America Latina. Due film, presentati in due distinte rassegne (Lulu di Luis Ortega in Cinema d'oggi e Trash di Stephen Daldry in Gala) portano alla ribalta fatti, personaggi e situazioni che fanno tornare alla mente le celebri cronache di Edoardo Galeano. Entrambe le opere hanno il merito di riaccendere i riflettori su un continente perennemente in bilico tra sogni e realtà. Ma lo fanno con scelte stilistiche (e risultati) molto diversi.
Trash, favola fra i rifiuti della favela (guarda il video)
In Lulu protagonista Buenos Aires
In Lulu la vera protagonista è Buenos Aires. Con le sue vie trafficate, i suoi parchi e la sua galleria di “emarginati” che fanno da sfondo e da palcoscenico alla storia di due giovani innamorati: Lucas e Ludmila. Lui trascorre le giornate lavorando su un camion che raccoglie i resti delle macellerie cittadine e usando la pistola per le piccole rapine con cui riempie le sue giornate più che le sue tasche; lei andando in giro su una sedia a rotelle dov'è finita dopo essere stata colpita da un proiettile vagante, ma di cui in realtà non avrebbe più bisogno. I due ragazzi si lasciano, si inseguono, si riprendono. Con un'impulsività che sfocia nella dissennatezza.
Ortega sceglie lo stile videoclip
Per mostrarcele il 34enne Ortega, al suo terzo lungometraggio, sceglie uno stile da videoclip, una musica invadente e personaggi di contorno al limite del grottesco che impediscono allo spettatore di provare empatia per i due protagonisti. Riuscendo invece in un altro intento, chissà quanto voluto: fargli pensare di diventare vegetariano vista quanta e quale carne pervade lo schermo.
Il portafogli che cambierà la vita di Rafael e Gardo
L'empatia scatta invece naturale in Trash. Grazie alla capacità ormai proverbiale di Daldry (come dimostrato prima in Billy Elliott e poi in Molto forte, incredibilmente vicino) di mettersi al servizio dei suoi protagonisti: Rafael e Gardo, due adolescenti che vivono in una favela di Rio de Janeiro e che, per sopravvivere, lavorano cercando oggetti nella vicina discarica. Proprio lì trovano il portafogli che cambierà per sempre le loro vite. Nel bene e nel male Insieme a un altro ragazzino (Rato) cominciano un lungo viaggio alla scoperta dei segreti nascosti al suo interno. Scoprendo un maxi-giro di corruzione che vede coinvolto un onorevole (Santos) candidato sindaco in vista delle olimpiadi, la polizia e decine di imprese di costruzioni nazionali e internazionali. Con l'incoscienza tipica della loro età e il coraggio dato dal non avere nulla da perdere, i tre portano a termine la loro missione. grazie anche all'aiuto dei due soli alleati su cui possono contare: padre Juliard, il parroco della favela interpretato da Martin Sheen e una giovane missionaria, Rooney Mara.
Sebbene l'ambientazione non sia nuovissima (la disperazione delle favelas e la crudeltà della polizia già viste di recente in City of God e Tropa de Elite 1 e 2) ne viene fuori un film teso, avvincente e convincente che dà un affresco credibile del Brasile di oggi, perennemente in bilico tra modernità e arretratezza, tra sviluppo e miseria. L'abilità del 53enne regista britannico sta tutta nel mettere regia, montaggio e fotografia al servizio della freschezza e dell'efficacia dei tre ragazzini. E anche alcune scorciatoie di sceneggiatura e un finale forse troppo consolatorio finiscono per essere funzionali al grande messaggio di speranza che il film porta con sé.
